Negli anni ’60 ha tenuto a battesimo il genere e oggi Ultraman si dimostra ancora capace di scuotere l’universo dei Sentai
Il Ministro della difesa giapponese entra in un museo, con in braccio il suo figlioletto. Esposti ci sono modelli di veicoli volanti futuristici, vecchie fotografie e plastici in scala. I quali raffigurano orrendi mostri più alti degli edifici di Tokyo. Al centro della struttura una statua di un gigante, con indosso una tuta grigia e rossa e due enormi occhi luminosi, veglia sui presenti in sala.
Così inizia l’anime di Ultraman, appena arrivato su Netflix, con il quale la piattaforma streaming tenta di rilanciare un brand storico della televisione Giapponese degli anni ’60. Forse, insieme a Godzilla, l’icona maggiormente rappresentativa del genere Tokusatsu. Parola che in giapponese significa effetti speciali e che contraddistingue un filone di prodotti cinematografici e televisivi, ancora oggi fortemente presenti nella cultura pop e in generale nell’immaginario collettivo nipponico e non solo.
Ultraman: Tokusatsu, il Giappone alla conquista del mondo
Tutto è nato dai professionisti del modellismo, che negli anni ’30 e ’40 avevano lavorato nel cinema di propaganda giapponese. Dopo il secondo conflitto mondiale però gli americani vietarono al Giappone di produrre film di guerra, da tale limite venne partorita l’idea di dedicarsi alla fantascienza e al fantasy.
Fortemente influenzati dal conflitto che era appena finito e, principalmente, dal disastro nucleare che il loro paese aveva purtroppo provato sulla propria pelle, con i loro Kaiju, kaijin (mostri, spesso nati da mutazioni genetiche causate da radiazioni), super eroi e mecha, questi creativi gettarono le basi di una mitologia moderna che di lì a poco avrebbe conquistato il mondo.
Del titolo di Dio dei tokusatsu è stato insignito Eiji Tsuburaya. Attivo nel settore dagli anni ’30, curò gli effetti speciali di quasi un centinaio di pellicole. Nel 1954, sotto la sua supervisione, l’artista Akira Watanabe e lo scultore Teizo Toshimitsu crearono un incrocio tra diverse specie di dinosauri che prese il nome di Godzilla. Incarnazione della vendetta di madre natura, che vuole punire gli uomini per aver creato una cosa tanto distruttiva come le armi nucleari. Tuttora il Kaiju torna ciclicamente a invadere le sale cinematografiche di mezzo mondo, che a ogni nuovo titolo si riempiono di fan accaniti di tutte le età.
Nel ’63, ha deciso poi di fondare la propria casa di produzione, ovviamente specializzata negli effetti speciali, la Tsuburaya Productions, la quale per la prima volta usò i fuochi d’artificio per rendere le scene più realistiche. Mentre per i mostri ebbe l’idea utilizzare, invece dei modellini, attori in carne ossa con indosso costumi in gomma.
Nel 1966 Tsuburaya fu in grado di produrre due pietre miliari della fantascienza. La prima è la serie televisiva Ultra Q, nel corso della quale diversi personaggi indagano su episodi paranormali che vedono coinvolti mostri, alieni e fantasmi. Se state pensando che ricorda vagamente X-files, tranquilli non siete gli unici. Durante lo stesso anno la Tsuburaya Productions partorì anche Ultraman.
Ultraman prima di Netflix
La storia narra di un componente della Pattuglia Scientifica (un gruppo che si occupa di problemi riguardanti mostri e alieni), Shin Hayata, che durante un giro di pattuglia a bordo della sua astronave, entra in collisione con la sfera prigione che Ultraman stava usando per portare il mostro Bemular al cimitero spaziale. Per salvare la vita al terrestre l’alieno si fonderà con lui, dicendogli che da quel momento in poi saranno una cosa sola. Proteggeranno la terra insieme contro ogni minaccia.
Oltre al nome, che ricorda molto i super eroi americani, ci sono anche diverse altre cose che “il Gigante di Luce” (altro modo in cui viene chiamato Ultraman) ha in comune con i suoi colleghi d’oltreoceano. Inutile dire che un eroe invincibile che arriva da un altro pianeta per proteggere la terra ci ricorda qualcuno. Tipo un abitante di Kripton con una esse stampata sul petto.
Proprio come Clark Kant anche Hayata decide di mantenere nascosta la sua identità di super eroe. Gli stessi compagni della pattuglia spaziale restano all’oscuro di tutto, e anche Ultraman ha la sua kriptonite, insomma il suo punto debole. Egli deve infatti riuscire a sconfiggere il nemico in soli tre minuti. Si nutre di energia solare, che però a causa dell’atmosfera sulla terra non arriva in modo abbastanza forte da garantirgli una lunga autonomia. La principale differenza tra il gigante di luce e gli eroi statunitensi invece risiede nelle dimensioni.
Ultraman è alto 40 metri, probabilmente tale scelta dipende anche da esigenze tecniche. Per utilizzare due attori in costume sul set invece che modellini, per forza questi dovevano avere dimensioni simili.
Il tipo di combattimento messo in atto era poco acrobatico. Somigliava a un incontro di lotta libera, fino ad arrivare al Raggio Specium con il quale l’eroe dava il colpo di grazia al mostro di turno. Particolare attenzione veniva data all’ambiente circostante, creato con le tecniche del modellismo, mentre elementi piedoni che calpestano gli alberi, dighe che esplodono e palazzi che crollano sono un tratto distintivo di tale serie.
Visto il successo di Ultraman, negli anni seguenti, sui piccoli schermi giapponesi si alternarono diverse serie televisive simili. Alcune delle quali, come Ultraman, arrivarono anche in Italia con tanto di doppiaggio. Più che altro venivano trasmesse, come tanti anime, dalle TV locali private.
Kamen Rider
Sono veramente troppi per elencarli tutti, ma tra i tanti possiamo ricordare di certo Kamen Rider (1971), l’eroe motociclista con la maschera a forma di cavalletta. Titolo che si contraddistingue per le acrobazie in moto (Il protagonista, Takeshi Hongo, è uno studente universitario con la passione per le due ruote) e per il design a tema piante e animali antropomorfi dell’eroe e dei cattivi che combatte. L’organizzazione terroristica Shocker, che crea i suoi guerrieri trasformando innocenti in cyborg assassini.
In questa serie i personaggi hanno le dimensioni di normali esseri umani, quindi non si usano plastici ma le scene vengono girate in scenari reali. Altra differenza con Ultraman è che il combattimento appare più dinamico, con salti mortali e calci volanti. Indimenticabili per i fan sono inoltre le scene della trasformazione dell’uomo in eroe, che avviene in contemporanea con la mutazione della sua normale motocicletta nella super moto di Kamen Rider.
Spaventoso fu il successo che tali titoli ebbero tra i bambini dell’epoca. Tutto ciò favorì anche la nascita di un fruttuoso mercato del merchandising. Oggi tali giocattoli sono oggetti da collezione ricercatissimi, che potrete ammirare (solo ammirare se non volete spendere tanti bei soldi) nelle vetrine dei negozi di Nakano Broadway a Tokyo (secondo tempio della cultura otaku nella capitale nipponica, dopo il quartiere di Akihabara).
Goranger, arrivano i super sentai
Ma c’era un problema, come facevano i bambini a giocare a Kamen Rider o a Ultraman tra loro, se in quelle storie l’eroe era uno solo? Per risolvere il dilemma presto nacque un fortunato sottogenere del Tokusatsu, chiamato Sentai (parola che in giapponese vuol dire squadra), nel quale gli eroi mascherati sono più di uno, formano un team con costumi simili ma ognuno con un colore prevalente, in modo che ogni personaggio sia immediatamente riconoscibile durante gli scontri.
Primo titolo di questo nuovo genere, a cui seguiranno veramente tanti altri, sarà Himitsu Sentai Goranger (squadra segreta Goranger), serie televisiva del 1975, creata da Shōtarō Ishinomori, che vede un quintetto colorato alle prese con l’Esercito della Croce nera. Celebre era il colpo di grazia finale, che consisteva nel far esplodere il nemico con uno sketch comico. Cioè lanciando un oggetto comune verso il mostro, come una teiera o un uovo, che poi esplodeva.
Power Rangers, dal Giappone agli Usa tutti pazzi per i sentai
Basta guardare una foto dei Goranger per capire quale brand americano sia nato dai Sentai nipponici. All’inizio degli anni ’90 Ia casa di produzione americana Saban Entertainment ebbe l’idea di optare non per un semplice doppiaggio quanto per un riadattamento delle serie sentai giapponesi, utlizzando attori americani e modificando le storie per renderle più appetibili al palato USA.
Nacquero così i Power Rangers, un media franchising che vede come protagonisti un gruppo di adolescenti che, trasformandosi in super eroi, combattono il male in ogni forma esso si presenti. Il 2 marzo del 2019 è iniziata sull’emittente americana Nickelodeon la ventesima serie del franchising Power Rangers Beast Morphers, prodotta dalla Hasbro e ispirata al sentai giapponese Tokumei Sentai Go-Busters.
Il nuovo ciclo vede una generazione di Rangers creata dalla combinazione di DNA animale con una sostanza chimica chiamata Morph-X.; mentre il loro nemico sarà Evox, un virus informatico che vuole impossessarsi dei loro poteri.
Ultraman, torna su Netflix l’eroe che ha dato inizio a tutto
Proprio al genere Sentai pare ispirarsi la nuova serie animata di Ultraman. Adattamento dell’omonimo manga di Eiichi Shimizu e Tomohiro Shimoguchi, edito in Italia dalla Star Comics. Gli Ultraman infatti saranno tre, ognuno con caratteristiche e personalità diverse. Il protagonista però continua a chiamarsi Hayata ed è il figlio del ministro della difesa giapponese, che abbiamo visto entrare nel museo dedicato al Gigante di Luce. Suo padre altri non è che Shin Hayata.
Alla fine della serie TV degli anni ’60 infatti avevamo visto il gigante alieno uscire dal corpo del terrestre e abbandonare la Terra. I suoi geni però si erano fusi con quelli di Shin, che li ha poi passati al figlio Shinjiro. Il quale crescerà dotato di una forza straordinaria, e grazie a speciali armature messe a punto dalla Pattuglia scientifica (SSSP), ancora in attività, potrà rinascere Ultraman.
Principale differenza con la serie originale è la dimensione dei supereroi, che nel sequel animato restano normali, e anche gli alieni con cui si confronteranno avranno più o meno una dimensione simile a quella degli esseri umani. Il primo tra questi che il giovane eroe dovrà affrontare sarà proprio Bemular, totalmente ridisegnato.
L’altra differenza sta nella tecnologia, che viene problematizzata. Le armature si rompono e hanno bisogno di manutenzione. Shinjiro avrà anche la possibilità di usare la corazza al massimo della potenza ma solo per tre minuti (citazione del limite di tempo che Ultraman aveva nella prima serie).
Lo scenario astro-politico inoltre è stato reso più complesso, mettendo in scena un drama fantapolitico ricco di suspense e colpi di scena, e molti sono gli attori con i quali la Pattuglia Scientifica dovrà fare i conti.
La serie infatti è ambientata decenni dopo la fine del live action. La Terra in questo periodo ha conosciuto un’era di pace grazie a un accordo stipulato con il Consiglio dell’Ammasso Stellare (una sorta di Nazioni Unite in versione interstellare), ma un incidente aereo, probabilmente causato da un alieno, fa capire alla SSSP che una nuova minaccia è in arrivo.
Gli alieni in questa nuova serie non sono più solo degli invasori: molti vivono sulla Terra mimetizzandosi con i terrestri. Hanno addirittura una loro città e una serie di personaggi fungono un po’ da mediatori culturali tra le diverse specie. Il principale tra questi è Jack, un umano che però a causa della sua particolare conformazione fisica può vivere solo nella città aliena.
Anche il terzo Ultraman Seiji Hokuto è un umano cresciuto con gli alieni. Sulla sua storia e sull’identità del secondo Ultraman, maestro nell’uso delle armi bianche, non posso aggiungere altro per non svelare importanti colpi di scena.
Addirittura uno dei personaggi di spicco della Pattuglia scientifica è Edo, ultimo superstite popolo di Zetton, una volta acerrimi nemici della Terra e di Ultraman. Compito della SSSP è anche vigilare sull’operato degli alieni che vivono sul nostro pianeta, un po’ come Will Smith in Men in Black.
In questo scenario così caotico i confini tra bene e male appaiono sempre meno netti. Con l’andare avanti della storia sia Shinjiro che lo spettatore mettono continuamente in dubbio le reali intenzioni dei diversi personaggi, arrivando addirittura a chiedersi chi siano veramente i buoni e chi i cattivi.
Il protagonista appare pieno di conflitti interiori, non sa se vuole diventare Ultraman o rimanere un normale studente delle superiori. Sente il peso dell’eredità del padre, vive a volte il suo destino come una condanna e come un’ingiustizia il fatto di dover uccidere gli alieni, i quali comunque sono esseri senzienti, provano emozioni e sono intelligenti.
Il rapporto tra le specie aliene e i terrestri funge da metafora del razzismo. Alcuni vedono le altre specie come noi umani vediamo un pollo (mangio i terrestri perché sono buoni, dice un alieno a Shinjiro una volta), altri cercano una uguaglianza di diritti. La quale comunque sulla terra non esiste visto che un alieno che uccide dei terrestri deve essere immediatamente eliminato. Non c’è ergastolo che tenga, né processo in tribunale.
I dialoghi tra il più duro tra i membri della SSSP, Moroboshi, al contempo severo e paterno con Shinjiro, e il giovane Hayata affrontano principalmente tali tematiche etiche. Per Moroboshi però un soldato deve fare il suo dovere e basta, e qui risiede un’altra differenza con la serie storica. A differenza del Gigante di Luce i nuovi Ultraman sono parte integrante delle istituzioni a tutti gli effetti, ed hanno degli ordini e dei doveri.
Per fortuna a motivare Shinjiro arriva la bella Idol Rena, dichiaratamente fan di Ultraman, della quale il povero adolescente è invaghito, ma pur avendo interagito con lei più volte, la ragazza non lo riconosce mai. In diverse sequenze che vedono i due giovani incrociarsi sembra di osservare il goffo e impacciato Peter Parker alle prese con la bella Mary Jane Watson.
Insomma la Terra avrà pure ancora bisogno di Ultraman, ma anche un appuntamento con Rena appare essere una bella motivazione per un adolescente.