Ritorna anche questo mese la nostra rubrica nata in collaborazione con Sergio Bonelli Editore e che vi presenta di volta in volta una breve carrellata con alcune delle uscite più interessanti del mese. Alcune, non tutte, che altrimenti facciamo notte! Questo mese ne approfittiamo per tirare un po’ le somme non di uno, ma di due mesi di uscite concentrandoci particolarmente sull’ottima Coney Island un’uscita che, basandosi sulle parole dell’Editore, “è una collana che non è una collana!”, nonché di Julia che arriva FINALMENTE al suo duecentesimo albo, celebrando la criminologa di Giancarlo Berardi non solo con albo decisamente corposo, ma anche a colori! Prima di andare avanti, vorremmo però prenderci ancora un attimo per parlare di Coney Island che, oltre ad essere un’ottima storia, è anche l’ultima opera del compianto Giuseppe Barbati, artista bonelliano consacratosi sulle pagine di Ken Parker, e prematuramente scomparso proprio prima della pubblicazione di questa serie. Manfredi, suo collega, amico e co-autore per questa Coney Island, ha dedicato alla memoria di Barbati non solo gli albi, ma anche un toccante editoriale che vi invitiamo a leggere per ricordare, nel vostro piccolo, la vita di questo grandissimo artista. Arrivederci Giuseppe.
Coney Island 1,2 – La pupa e lo sbirro, Al Capone ringrazia
Ma che cos’è Coney Island? Si tratta fondamentalmente di un esperimento che prevede l’uscita di tre albi per una storia autoconclusiva, in quella che è solo la prima di una serie di uscite trimestrali, ognuna concentrata su una storia a sé, su un tema diverso ed anche su di una diversa ambientazione. L’obiettivo di Bonelli è quello di scrivere e disegnare il grande romanzo di avventura a fumetti, un compito perfettamente in linea con quello che è lo stile e l’obiettivo dell’editore sin dai tempi di Tex, che oggi più che mai vuole consacrarsi attraverso una serie di nuove uscite, e che in Coney Island trova un ottimo esponente. Scritto da Gianfranco Manfredi, con i disegni di Bruno Ramella e Giuseppe Barbati, Coney Island racconta di un caso particolarmente complesso del burbero e “noire” agente Sloane, uno sbirro tutto d’un pezzo della Brooklyn degli anni ’20 che, nel tentativo di rimorchiare “la pupa”, ossia la cameriera Brenda, con un giro a Coney Island, si troverà irrimediabilmente immischiato in un caso apparentemente insolvibile. La sceneggiatura, così come i personaggi, ricalcano fedelmente quelli dello stile del racconto hardboiled, in cui non si sprecano pupe, pallottole e personaggi di spicco della malavita dell’epoca (uno su tutti l’iconico Al Capone).
Al centro della storia l’emblematica Coney Island, il celeberrimo parco dei divertimenti newyorkese in cui si vanno a imbastire intrecci tra amore e malavita, senza dimenticare l’ovvia fascinazione per il poliziesco noire. Il bello è che, benché Coney Island sia incentrato sul caso di Sloane, Manfredi ha scritto una sceneggiatura così accattivante da rendere ogni personaggio unico, ampiamente caratterizzato, e partecipe (quasi co-protagonista) della scena, in quello che è un intreccio dal respiro molto ampio in cui la trama ha sempre lo spessore giusto e non si perde mai in troppi giri di parole, pur non mancando di dare ad ogni personaggio il giusto momento introspettivo, il giusto profilo narrativo e, soprattutto, uno spazio in scena sempre giustificato e mai gratuito o prolisso, costruendo un racconto coerente, dinamico e soprattutto credibile. Manfredi, già solo nel primo numero, si destreggia in un racconto ritmato e divertente, in cui anche le inquadrature delle tavole si rifanno con grazia e coerenza allo stile del cinema di genere, senza dimenticare di tributare come si deve quello che è stato il lavoro di un autentico genio del romanzo poliziesco: Raymond Chandler. Coney Island, insomma, senza volervi svelare nulla della sua trama, è un esperimento riuscito e vincente che, si spera, farà solo da preambolo a questa nuova serie di sperimentali pubblicazioni tenendo la qualità della lettura (e del disegno) a livelli decisamente buoni.
Voto: 8,0
Lukas Reborn 2 – Le Cacciatrici
Dopo la chiusura del precedente ciclo, ed il nuovo avvio ad etichetta “Reborn” del mese successivo, Lukas prosegue nel suo nuovo corso narrativo che, ricordiamolo, si strutturerà in modo del tutto inedito per un serial Bonelli. L’editore ha infatti deciso di strutturare il nuovo corso della serie dividendo la seconda stagione in 4 macroepisodi da 3 volumi. L’idea è quella di stravolgere ancora una volta quella che è una serie sin da subito narrativamente sperimentalista. Già con i primi 12 albi, la continuity di Lukas si susseguiva con un incedere narrativo quasi da show televisivo, in cui “il serial” presentava un ampio racconto attraverso situazioni episodiche. Michele Medda ha quindi stravolto, di nuovo, il suo personaggio, dandoci ora l’impressione di un “serial nel serial”, in cui – ne siamo certi – tutto collimerà in un unico, esplosivo, finale. Ma venendo all’albo di oggi: convocato dal vampiro in carrozzina, il già noto Zio Ming, Lukas si lascerà coinvolgere nella ricerca della nipote di quest’ultimo, Yan Yu, una giovane vampira dedita alla caccia di esseri umani, laddove invece il resto dei vampiri ha imparato a vivere senza uccidere nessuno. Seguendo Yan Yu lungo una vera e propria carneficina, Lukas non mancherà di imbattersi in Myra e Amos, agenti dell’unità federale Phoenix, il cui compito è la risoluzione di casi di matrice sovrannaturale. Ora la domanda è: sta giovando la nuova formula narrativa alla serie Reborn? Ci sta bene che le trame si condensino al ritmo di pochi albi alla volta? La risposta è decisamente “si”, perché la necessità di consolidare un arco narrativo in pochi numeri non solo rende l’intera trama più ritmata ma offre anche un compendio di situazioni variegato e intrigante. L’azione è insomma il nuovo leit motiv della serie di Michele Medda che non snatura il suo personaggio ma anzi, lo rinnova non poco. Il che, considerando la breve vita editoriale di Lukas, sembrerebbe quasi paradossale ma rende invece tutto molto godibile e “veloce” il che, considerando quando poco ci aveva attirato Lukas all’inizio, è francamente una sorpresa, un bene e una gioia.
Voto: 8,0
Dampyr 182 – Nella Dimensione Nera
Scritto da Mauro Boselli e Maurizio Rosenzweig, Dampyr 182 ci riporterà nella violenta ma affascinante (e cupa) Dimensione Nera. Un luogo già ampiamente noto ai lettori di Dampyr e che diede origine al temibile Thorke, villain terribile con un certo gusto per l’egocentrismo ed il cannibalismo, che non pochi grattacapi diede ad Harlan e compagni. Albo di esordio per Maurizio Colombo (i cui disegni ci restituiscono una Dimensione Nera quanto mai tetra ma accattivante), in questo “Nella Dimensione Nera”, assisteremo all’ennesima minaccia per la tranquillità del nostro arcinoto gruppo di eroi partendo dalla piccola Ljuba, i cui sogni sono tormentati da visioni che mescolano i ricordi a terribili visioni. Questa, tuttavia, sarà solo una premessa che nel giro di non poco porterà Harlan ad imbarcarsi in un nuovo viaggio verso la Dimensione Nera dove, dopo la sconfitta di Thorke (era Dampyr 157), si sta assestando con violenza un nuovo ordine gerarchico, in quella che è una vera e propria battaglia tra la Casta Sacerdotale e le forze infernali del Generale Zefon e del Conte Straygor. Si tratta, insomma, di un nuovo scontro tra le forze del bene e quelle del male, in quella che è una battaglia per sovvertire (con astuzia) l’universale Legge dell’Equilibro splendidamente scritta da Boselli, e che troverà la sua conclusione solo col il numero 183 (Dittatura Infernale) proprio in questi giorni in edicola. Ora, c’è da dire che la storia in sé, salvo forse un preambolo un pochino troppo dilatato, è godibile e divertente e presenta una versione della Dimensione Nera per certi versi inedita ed ancor più affascinante di quanto questo mondo contorto e controverso non fosse già. Il problema qui è prettamente per i neofiti. Il volume presenta infatti così tanti nomi, situazioni, rimandi al passato di Dampyr (molti neanche propriamente recenti), tali da confondere e intontire un po’. Per tutti gli altri, ossia per i lettori di Harlan che mai e poi mai si sono persi un numero (o uno speciale), resta invece un ottimo racconto in cui ben presto il ritmo si consolida, chiudendo il numero con una gran voglia di leggerne il seguito.
Voto: 7,5
Dylan Dog 334 – Il sapore dell’acqua
Albo d’esordio ai disegni di Giorgio Pontrelli del collettivo Skeleton Monster, “Il sapore dell’acqua” ci metterà subito alla ricerca di un intricato mistero che coinvolge tre morti, tutte sconnesse ma in qualche modo legate e che non pochi grattacapi causerà all’inquilino di Craven Road accompagnato, ancora una volta, dall’accattivante Agente Rakim. Senza dimenticare un tocco di esoterismo (direte voi, più che doveroso), DyD 334 è un albo chiaro e preciso, sia nella costruzione della sua storia (a firma dell’operoso Gigi Simeoni), sia nella costruzione delle tavole, che non mancherà di farvi fare la spola tra le pagine alla ricerca di alcuni indizi, che sono lì… ma che forse non avete da subito notato. Si tratta, dunque, di un albo che molti definirebbero “riempitivo”, e DyD 334 è certamente un albo controverso, quasi “deludente” rispetto a quello che i lettori vorrebbero dal nuovo corso del personaggio imbastito da Roberto Recchioni. Si tratta infatti di una storia che non aggiunge e non toglie nulla al personaggio, salvo qualche (ennesimo) scambio di battute tra Dylan e l’agente Ranya Rakim. Forse quasi prevedendo un’ondata di scontento, lo stesso Recchioni ha proposto in apertura d’albo un editoriale, che fu poi in realtà scritto anni fa da Sclavi, che evidenzia questo ricorso storico dello scontento del lettore, identificando il problema, dunque, non tanto nella storia, ma proprio nel fan, che pare essere ciclicamente insoddisfatto di DyD. In sintesi: è un brutto albo? No, affatto, perché ritroviamo qui un Dylan più detective che indagatore dell’incubo, una tematica che il fan dylaniano dovrebbe ormai conoscere e che, pertanto, non può in qualche formula “scontentare”, se non nell’accezione di una mancanza quasi assoluta di tette e gore. Per il resto è una storia godibile, forse si, riempitiva, ma in quella che è una struttura mensile di una testata storica, un riempitivo di tanto in tanto ci sta, e non vale la pena muovere poi molte critiche perché, ci sembra ovvio, DyD non può certo proporre una nuova strabiliante novità al mese.
Voto: 7
Julia 200 – L’immagine perduta
Parlare di Julia Kendall non è semplice, poiché si tratta di un fumetto che, purtroppo, non è digesto ad una gran fetta di lettori, che preferisce concentrare le proprie letture su personaggi dalle caratteristiche più fantastiche e, perché no, horrorifiche. Ma Julia, la brillante criminologa di Giancarlo Berardi è, a nostro modesto parere, un personaggio degno dell’olimpo fumettistico italiano, complice una qualità non solo del personaggio, ma della scrittura delle storie, che nel corso degli anni ha lucidato sempre più il suo già smagliante smalto. L’uscita del numero 200, non facile da raggiungere in tempi notoriamente bui per il fumetto nostrano, è dunque non solo un traguardo, ma anche una vera e propria consacrazione. Bonelli ha dunque deciso di festeggiare Julia come si deve, non solo con l’uscita di un albo particolarmente corposo, ma anche con l’uscita di una copertina variant (disegnata da Vittorio Giardino), messa in vendita in occasione del recente Napoli Comicon e poi disponibile anche sul sito ufficiale Bonelli. Ma che dire della storia in sé? Come sempre Julia ci offre una storia di qualità eccezionale che, in occasione della celebrazione, non perde occasione di strizzare l’occhio al fan, rimandandolo a storie e situazioni di numeri passati con, dulcis in fundo, persino la comparsa del “papà” (in tutti i sensi!) di Julia. Berardi, qui in coppia con Calza, non si è comunque adagiato comodo ed ha scritto una storia che, oltre a ricordare e celebrare la serie attraverso alcuni momenti di riflessione e introspezione, ne approfitta per presentarci un ottimo racconto di azione e investigazione, così come ci si aspetterebbe dalla serie. Questo è forse un pallino che potrebbe far storcere il naso a chi si aspettava qualche cambiamento, ma a bene vedere vista la bontà della serie e la sua solidità, quasi non ci saremmo aspettati nulla di diverso. Il numero 200 di Julia, insomma, pur proponendocelo allo stato dell’arte, è comunque un albo “tipico” della serie di Miss. Kendall e non innova, rinnova o stravolge alcun canone fumettisticamente consolidato negli anni dal suo ideatore. Un’ottima storia, magistralmente disegnata e piacevolmente colorata, che è poi tutto quello che dovrebbe offrire l’autentico fumetto d’autore e che Julia fa, anche a 200 numeri dal suo esordio, con classe e savoire faire. Chapeau.
Voto: 9