Elogio al paradosso nipponico
Entrare oggi in una sala giochi a Tokyo è un’esperienza incredibile per noi occidentali: le nostre orecchie vengono invase dai suoni provenienti dalle decine di cabinati e dal rumore martellante dei tasti pigiati convulsamente; i nostri occhi vengono catturati dalle immagini frenetiche degli schermi e dalle luci stroboscopiche, mentre l’odore di fumo penetra nelle nostre narici per i posacenere poggiati sulle diverse postazioni di gioco.
Un’atmosfera alienante, affascinante e a tratti vintage, perché va a toccare il cuore dei giocatori più grandi provenienti da qualsiasi parte del mondo, avvicinatisi al mondo videoludico proprio grazie ai gettoni spesi nei bar del paese e ai crampi alle mani.
È insomma l’omaggio al videogioco più puro, quello dell’età dell’oro degli anni Ottanta, che non solo intrattiene ma mette alla prova le nostre capacità, la nostra pazienza, i nostri riflessi, rendendo tutto un vero spettacolo anche solo per chi osserva.
Un clima che tutt’ora sopravvive allo scorrere del tempo, perfettamente dipinto nell’anime approdato su Netflix tratto dal manga di Rensuke Oshikiri, Hi Score Girl,
Ma non è solo questo rispetto per il passato che continua a perdurare nella metropoli più futuristica del mondo, è anche il fatto che l’intrattenimento videoludico per i giapponesi è un qualcosa di strabiliante, soprattutto agli occhi di noi occidentali.
Vi è la parte più sensibile, profonda e malinconica, evidente soprattutto negli JRPG, e poi ve n’è un’altra totalmente nonsense, incomprensibile ma terribilmente divertente.
Ad esempio, pensiamo a Tombi: un platform che prende elementi dai giochi di ruolo e dai puzzle-game che narra la storia di un selvaggio dai capelli rosa in lotta contro sette maiali malvagi accumulatori seriali di tesori.
Un concept esilarante, che è riuscito a conquistare l’infanzia di molti di noi.
Dato l’esempio piuttosto esplicativo, evitiamo di addentrarci nei rythm game, nelle visual novel e degli otome game (i giochi per ragazze), per i quali nascono applicazioni come QooApp per fare da piattaforme dedicate esclusivamente a quest’ultima tipologia di giochi.
I giapponesi hanno gusti diversi dai nostri, proprio poiché dotati di un altro tipo di sensibilità che porta ad apprezzare il videogioco come fuga dalla realtà, non tanto in termini di vivere vite parallele, quanto in un’ottica prettamente legata al divertimento senza fronzoli, in cui conta la bravura e la capacità, in un mondo di gioco surreale.
Un discorso che non è strettamente connesso alle sale giochi, ma anche ai titoli prodotti per console da giocare con calma nella propria dimora.
Per lasciarvi capire maggiormente, prendiamo The Last of Us, capitolo epocale per la maturità artistica acquisita dal medium: in Europa e negli USA ha venduto rispettivamente 2,83 e 2,66 milioni di copie contro le 110 mila unità vendute in Giappone (fonte: vgchartz).
Se i giocatori giapponesi appaiono restii ad accettare realtà diverse dalle loro, noi occidentali, pur divisi comunque in nicchie, tendiamo a rimanere affascinati dalle particolari sfumature acquisite dal videogioco nel paese del Sol Levante.
Aprire gli occhi sull’inaspettato
Tutta questa riflessione sulla concezione nipponica del videogioco deriva principalmente dalla recente esperienza avuta con Earth Defense Force 5.
Probabilmente sconosciuto a tanti, si tratta del nuovo capitolo – in esclusiva PlayStation 4 – della gloriosa serie sparatutto in terza persona nata nel 2003 su PlayStation 2 per opera di Sandlot.
Gloriosa perché in Giappone ha largo seguito, e anche in Occidente ha conquistato la sua nicchia di fan. Come mai? Semplicemente perché Earth Defense Force 5 riprende uno dei filoni principali della cultura giapponese – quello dei mostri giganti (kaijū) – e lo propone in salsa trash.
Nel caso del quinto capitolo, la trama ci porta a vivere nei panni di un civile del 2022 che vuole arruolarsi nell’esercito, ma nemmeno il tempo di iniziare l’addestramento, la base viene assalita da orde di formiche giganti. I nostri compagni periscono sotto le sei zampe mastodontiche degli insetti, e noi non possiamo fare altro che resistere a suon di armi da fuoco.
Superato il prologo, veniamo a scoprire che l’intera città è succube di un’invasione – secondo i primi annunci – di matrice terroristica, che comporta in seguito l’arrivo massiccio di insetti, ragni, rettili, astronavi e chi più ne ha più ne metta, il tutto di dimensioni gigantesche.
Il gioco è strutturato in missioni che compongono la story mode. Ognuna di esse, ambientate in spazi per lo più vasti e aperti, consiste nel sopravvivere ai costanti assalti nemici attraverso l’uso di due tipologie di armi, di base una veloce e l’altra potente. Il numero di avversari da abbattere è davvero spropositato sin dall’inizio, ma per fortuna possiamo scegliere tra diverse classi di combattimento per poterne uscire vincitori.
- Ranger. Classico soldato dotato di armi da fuoco, sostanzialmente fucile semiautomatico e lanciamissili. È il più semplice da utilizzare.
- Wing Diver. Fanciulla che fa ricorso ad armi al plasma e a dei propulsori che le permettono di spostarsi in aria. I suoi attacchi causano parecchi danni ai nemici, ma è pure la classe con la difesa e la vita più bassa.
- Air Soldier. Figura tattica che fa dell’uso di dispositivi di comunicazione per stratificare gli attacchi e le cure la sua peculiarità.
- Fencer. Descrivibile come il classico Tank, può difendersi con l’uso dello scudo e compiere attacchi da mischia poderosi, grazie al possente esoscheletro che indossa. Il difetto è che è tremendamente lento.
Trovata la nostra categoria preferita possiamo imbatterci nelle missioni che di volta in volta crescono di difficoltà. In questo caso giocano a nostro favore i vari potenziamenti sbloccabili dopo ogni vittoria, come armi ed armature più performanti, crescita dei parametri legati alla vita e all’armatura e addirittura veicoli per velocizzare i nostri spostamenti nella vasta area di gioco.
Come potete notare il concept è abbastanza semplice, immediato e ha poco di innovativo. Tuttavia riesce comunque a divertire da matti. E lo fa con una grafica obsoleta risalente alla scorsa generazione, e a delle interfacce sgradevoli e caotiche.
In questo caso la bruttura estetica avvalora il paradosso che accompagna l’intera esperienza: nel corso dei costanti attacchi nemici, si sentono annunci di distruzioni e di invasioni precedute dai tipici jingle musicali giapponesi, frasi stereotipate, e una quantità di nemici che definire esagerata è riduttivo.
È proprio nell’esagerazione che Earth Defense Force 5 trae il suo fascino. Passato il primo minuto in cui si tiene a bada l’avanzata iniziale dei nemici, poco dopo tutto si trasforma in un bailamme allucinante: grattacieli che crollano, esplosioni fiammeggianti, civili che chissà per quale motivo sono in mezzo alla strada, soldati alleati che periscono, luci rosse, verdi, fucsia, e scatoloni lasciati dagli avversari sconfitti per recuperare vita, armatura e proiettili persi (anche se una volta terminati si ricaricano in automatico).
Ne viene fuori una confusione meravigliosa, persino quando si muore, persino quando si urla “cosa ***** sta succedendo?!” mentre veniamo scaraventati all’aria, circondati da fiamme e orde di insetti che ci camminano sopra famelici.
Tali scelte stilistiche e ludiche, seppur brutte (nel primo caso) e semplici (nel secondo), ci consentono di provare una forte sensazione di ilarità e appagamento.
Pensate, inoltre, che tutto ciò può essere vissuto in multiplayer locale e online in split-screen, e che conta cinque livelli di difficoltà di cui l’ultimo è Inferno. Noi abbiamo giocato a Normale. Chiaro il discorso, no?
Chi scrive, quando gioca, dà oramai peso alla storia, alla caratterizzazione dei personaggi, alle tematiche trattate, il ché non è un male, anzi, ma spesso le porta a dimenticare come sia iniziata la sua passione. Per tale ragione l’esperienza con il titolo targato Sandlot è stato come un risveglio.
Earth Defense Force 5 riporta alle sale giochi di Tokyo dove tutto viene spettacolarizzato o reso competitivo, all’infanzia senza aspettative, al divertimento puro e crudo, al concetto di intrattenimento partorito dal Sol Levante.
Vero è che il gioco in questione non aggiunge nulla alla serie che oramai si porta i suoi quindici anni sulle spalle, e resta un’esperienza riservata a un piccolo pubblico che ama il trash giapponese.
Tuttavia, se siete davvero appassionati di videogiochi, il nostro consiglio è quello di lasciarvi contaminare da visioni lontane dai vostri standard per godere di tutte le sfaccettature che questi possono assumere, tra cui quelle di un paese contraddittorio ma pregno di fascino come il Giappone.