SIC PARVIS MAGNA
Dopo un’attesa a dir poco infinita, arriva finalmente sulle nostre console Uncharted 4: Fine di un Ladro, un titolo che porta su di sé il gravoso fardello di una fanbase affamata, ed a lungo nutrita di solo hype e ansiosa di tornare all’avventura in compagnia di Nathan Drake e compagni. Forse però c’è di più. Uncharted 4 si fa infatti carico di un peso ben più importante, che si può racchiudere in una parola sola: “fine”. Con questo episodio, e salvo qualche ripensamento dell’ultim’ora, le avventure di Nate, infatti, si chiudono e con esse si chiude un’era della storia PlayStation. Ha fine il ciclo di un franchise iconico, che nel corso della sua carriera ha divertito, emozionato, persino spinto le vendite e che ha costruito la leggenda di un autentico paladino digitale. Questa è allora una recensione, ma anche – e soprattutto – un momento di commiato. Un addio che si conclude nel migliore dei modi con un gioco che, diciamolo subito, meriterebbe di essere giocato da tutti, a prescindere dai propri personali gusti hardware. Perché quando credi che le cose possano andare in un certo modo, quando sei convinto di aver visto già quanto un nome, un brand, una IP o chi per loro possa dire… beh arriva sempre qualcosa di nuovo. Qualcosa di bello…
Uncharted 4: Fine di un ladro – UNA RECENSIONE VELOCE!
PRONTI PER IL VIAGGIO DI UNA VITA?Abbiamo giocato e recensito per voi Uncharted 4: Fine di un ladro! La recensione la trovate già online su www.staynerd.com, ma intanto, se non avete tempo da perdere, potete dare uno sguardo veloce alla VELOCISSIMA recensione del Boss! Fremete o no dall'attesa per l'uscita del gioco?!
Julkaissut Stay Nerd Torstaina 5. toukokuuta 2016
“I am a Man of Fortune, and must seek my Fortune”
I Drake
Sono passati 3 anni dall’ultima avventura di Nathan Drake e dal fortunato ritrovamento della città di Ubar. Nathan ha appeso la fondina al chiodo, e la vita passata tra tesori e bussole è stata riposta in un cassetto, lasciando che le avventure siano solo ricordi in cui tuffarsi dopo le giornate di lavoro. Il nostro conduce una vita placida, serena, alla ricerca di una propria dimensione del mondo. Nathan è invecchiato, il tempo del resto passa per tutti, e sebbene vi sia solo un accenno di grigiore nei capelli, il tempo delle avventure è finito. È ora il momento di andare avanti e di costruirsi una vita, circondandosi delle persone che ama non per comodo, ma per affetto, lasciando in soffitta i tesori rinvenuti nel corso dei suoi viaggi, non senza un po’ di commozione, non senza un certo senso di adeguatezza. Può un ladro smettere di essere tale? La risposta pare nascondersi tra le carte e le scartoffie cheil nostro compila a fine giornata, con lo spirito di chi è passato dall’avventura di una vita a quella della quotidianità, occasionalmente scandita da ricordi lontani, spesso malinconici, di quello che era e forse non sarà più… questo almeno finché alla sua porta non bussa il passato. Samuel Drake, suo fratello maggiore, è vivo! Creduto morto per 15 anni, Samuel piomba nella vita di Nathan portando con sé il ricordo di una vecchi avventura: il leggendario tesoro del Capitano pirata Henry Avery, che sparì misteriosamente in mare dopo aver conquistato il più grande bottino della storia della pirateria. Partire o no? Ritornare alla vecchia vita o restare adagiato nella nuova? Quali legami seguire? Quelli affettivi o quelli di sangue? La scelta sarebbe difficile se non fosse che da quel tesoro e dal suo ritrovamento dipenderà la vita del suo redivivo fratello, la cui morte apparente lo aveva segnato, poi distrutto, e nel ricordo di cui era vissuto.
“Non ho raccontato neanche la metà di quel che ho visto,
perché so che nessuno mi avrebbe creduto”
Se parlassimo del passato, se questo fosse il primo Uncharted o qualunque altro dei suoi successori, parlare della trama sarebbe semplice e, tutto sommato, si potrebbe tranquillamente sorvolare. È indubbio che il fulcro della serie fosse infatti l’avventura in sé, asservita ad un impianto ludico che, sulla falsariga di quanto era stato fatto da Indiana Jones (alle origini del genere) e da Tomb Raider (poi) mettesse il giocatore al centro di una ricerca archeologica a metà tra storia, fantasia e azione a profusione. Messo il disco di Uncharted 4 mi sarei aspettato lo stesso modo di fare, lo stesso conclamato ritmo sparacchino, e invece no. Mai come questa volta parlare della trama di Uncharted 4 è difficile, specie tenendo per me le informazioni che ne costituiscono il fulcro e che per nulla al mondo mi sognerei di rivelarvi. Perché Uncharted 4 si distacca quasi del tutto dai suoi predecessori e si prende la briga di raccontare una storia, fatta di persone, di sentimenti, e di ambizioni facendo si che l’avventura in sé, la ricerca della tesori di Avery, sia solo a metà tra sfondo e contorno. Ce lo aspettavamo? No, ma del resto parliamo di Naughty Dog, o meglio, dei ND post The Last Of Us. E proprio a The Last of Us questo Uncharted 4 deve molto, forse moltissimo.
Riprendiamo allora la domanda: Un ladro può smettere di essere un ladro? O, più ampiamente, siamo predestinati solo quel che pensiamo di meritare? L’inizio di Uncharted 4 è uno schiaffo diretto alla mascella del giocatore, perché racconta di un Nathan Drake che non è più, e che combatte contro sé stesso tra ciò che vorrebbe e ciò che deve essere. È un incipit diverso per la serie, preludio di quello che – come scoprirete – è un titolo che gioca il tutto e per tutto nello sconvolgere le convizioni del giocatore, per “disabituarlo” all’idea che aveva di Uncharted per portarlo a fare un viaggi completamente diverso. E lo fa attraverso situazioni che raccontano (spesso anche per mezzo delle azioni) i turbamenti e le emozioni dei suoi attori, lasciando che la caccia al tesoro sia il viaggio che svelerà un mistero ancor più intrigante: chi è Nathan Drake? Un avventuriero? Un esploratore? Un ladro? Uncharted 4 parte da questa semplice premessa per raccontarci il VERO Nathan Drake, le sue pulsioni, i suoi dubbi, il suo passato nebuloso di cui, ad oggi, si conosceva invero molto poco. E lo fa con un’abilità invidiabile, il cui pregio non è tanto quello di scrivere una storia arzigogolata e geniale, ma di mettere il racconto al servizio dello stile tipico di Uncharted, dei suoi personaggi e della sua devozione all’azione esplosiva e incontrollabile. E questa è la prima novità, la prima grande rivoluzione del franchiese, che volendo chiudere con il botto si mette in discussione e cresce, si evolve, portando con sé, senza forzature, i suoi personaggi e, di conseguenza, la stessa percezione che di essi possiamo avere.
Ecco perché, una volta tanto, varrebbe la pena parlare nel dettaglio della trama di Uncharted 4, perché essa ha un valore ed un significato ed è costellata di simboli e segni la cui interpretazione è spesso lasciata al giocatore ed al suo grado di empatia con i beniamini della serie. Non è più la semplice accozzaglia di situazioni con venature soprannaturali. È una storia, con capo e coda, che si prende i suoi tempi, senza timore di annoiare il giocatore (cosa che comunque non fa) e senza forzare la mano verso situazioni di pura azione. Lo fa attraverso i dialoghi, lo fa attraverso i ricordi, lo fa partendo dalle basi ed aiutandoci a ripercorrere la vita di Nathan, seppur brevemente, in alcuni momenti salienti e toccanti proprio come faceva The Last Of Us. L’imprinting è evidente, come è evidente la voglia di Naughty Dog di dimostrare la propria maturità. Farlo con Uncharted, al suo epilogo, è un tocco di classe. Una stoccata diritta al cuore del giocatore che, almeno al primo giro di giostra (un giro neanche breve, e che oscilla tra le 17 e le 20 ore), non avrà voglia di scendere, di correre avanti, o di glissare una o due linee di testo, perché Nathan è ormai un amico, un volto noto, che ha trasceso i limiti imposti dalla “maschera” che dovrebbe figurare, elevandosi ad uno status diverso: quello di attore. Un attore al suo ultimo atto, su di un palco splendidamente imbastito, e con alle spalle una sceneggiatura che, in modo dignitoso, consegna al giocatore non solo una bella storia, ma anche uno splendido finale… ed un inatteso epilogo.
Tutto ciò ha ovviamente un prezzo, ed esso è il ritmo, che rispetto al passato della serie è decisamente più frastagliato, ma non rilassato. Il gioco ha delle cose da dire, delle storie da raccontare, e nel farlo si prende i propri tempi, non diminuendo la percentuale d’azione a cui il giocatore era abituato, affatto, ma diluendola nel corso delle ore di gioco in modo diverso e con dei tempi meno serrati. Uncharted 4, per intenderci, è agli antipodi del secondo episodio, ancora oggi impareggiabile nel suo ritmo forsennato e cadenzato, ma è anche completamente diverso dal più frammentato e altalenante Uncharted 3. Questo perché il titolo alterna, in soldoni, diverse tipologie di gameplay, tutte mesciute ad arte nel corso della nostra lunga caccia al tesoro.
Faro dei giocatori saranno sicuramente le sezioni di gunplay, che poco si differenziano dal passato se non per un leggero aumento del numero di bocche con cui fare fuoco. In questi frangenti Uncharted 4 non è molto differente dal suo ultimo predecessore, e si comporta in modo più che dignitoso, con sessioni sparacchine tutte improntate ad un ordinato caos sul campo, offerto dal soverchiante numero di nemici. In questi frangenti il gioco è molto fedele al suo passato, salvo che per una pulizia generale delle sessioni “stealth”, che sono sempre a discrezione del giocatore, ma che sono ora più funzionali e meglio gestite. I nemici, infatti, non ci avvisteranno subito, ma avranno un apposito indicatore di “sospetto” che ci permetterà di capire se siamo a portata della loro vista o meno. Dovremo quindi allertarli prima di farci definitivamente scoprire, evitando quel fastidioso disagio passato che spesso impediva di fare piazza pulita in silenzio, scoprendoci magari involontariamente. Ora, è ovvio che giocare ad Uncharted 4 tutto significa tranne che procedere in silenzio, ma il solo fatto di proporre l’alternativa con meccaniche semplici ma pulite è di per sé un motivo di apprezzamento per il team che ha così semplicemente arricchito e non azzoppato determinate sessioni di gioco mettendole al servizio del giocatore.
Anche l’esplorazione è stata tuttavia rivista e quello che era un problema del passato della serie, è stato oggi quasi del tutto arginato: la linearità. Pur restando lineare in sé (non parliamo infatti di un gioco con bivi narrativi o scelte da compiere in termini di “dove andare e perché”), Uncharted 4 segna una piccola rivoluzione nelle modalità di esplorazione dei livelli, offrendo al giocatore, su tutto, delle mappe più ampie ma anche una vera e propria profusione di alternative. Non si tratta, in soldoni, di salire un solo ed unico muro per raggiungere la vostra meta, ma scegliere tra una serie di approcci, spesso veramente considerevole, aumentando a dismisura la sensazione di scoperta e smarrimento. Al servizio proprio di questa varietà di situazioni arriva dunque il rampino, unica novità nel nostro kit del perfetto avventuriero. Sfoderabile liberamente con L1, ma a servizio solo di determinati appigli, il rampino avrà ben più di un momento di gloria all’interno del gioco, contribuendo all’esplorazione (concitata) di moltissime sessioni. Non si tratta di una rivoluzione, ma il gadget si dimostra utile e ben ponderato, specie in un gioco che a differenza della concorrenza ha sempre puntato ad essere più “asciutto” nel proporre strumenti e varie ai giocatori, preferendo un approccio più immediato e diretto. Ebbene il rampino non sbilancia questa formula, ed anzi è una vera e propria estensione del braccio di Nathan, la cui unica critica è quella di non avere avuto il giusto spazio all’interno della risoluzione degli enigmi di gioco sebbene resti, come saprete, uno dei grandi campioni della nuova modalità multiplayer.
Tornado alla “non linearità”, in tal senso, il pregio più evidente di Uncharted 4 è certamente il suo level design e la sua capacità di tenere il giocatore calamitato nel mondo di gioco. I livelli di Uncharted 4, in tal senso, sono delle perle di game design, tali da intontire e spesso confondere, volutamente, il giocatore. Come potrebbe, del resto, un esploratore trovare la propria strada se non… esplorando? Ebbene questo concetto in Uncharted 4 è amplificato a dismisura entro i limiti che gli competono arrivando persino a toccare picchi che potremmo definire (ma non lo sono) “open world”. Ci sono mappe piccole, che vanno girate rapidamente, mappe più grandi, che richiedono un’analisi del territorio a suon di scalate, e ci sono poi mappe immense, che richiedono addirittura l’uso di mezzi di trasporto liberamente guidabili per essere esplorate e, in fin dei conti, apprezzate fino in fondo. Al giocatore sono offerti diversi di questi momenti, in cui volante alla mano si parte letteralmente all’esplorazione, aumentando – e non di poco – la percezione avventurosa della trama e del gioco in sé e permettendo persino di approcciarsi (o no) ad alcune “esplorazioni secondarie” alla ricerca di manufatti o documenti. Come detto non si tratta di vere e proprie sezioni open world, poiché tali livelli hanno comunque dei confini invisibili, spesso dettati dall’architettura naturale e dunque furbamente nascosti. Tuttavia la vastità di questi territori, ma soprattutto la loro naturale complessità, rendono il gioco intrigante e donano al tutto un inatteso senso di libertà. L’effetto, per intenderci, è quello che si potrebbe provare in Metal Gear Solid V, quando per la prima volta si scopre che si può andare dove si vuole per il semplice gusto di fatto. Ebbene in Uncharted 4 succede esattamente questo e seppur la libertà non sia assoluta, il risultato è così appagante da impedirci di non scorrazzare allegramente fregandosene, per un po’, del bisogno di seguire i passi della trama. Come se non bastasse, ad aumentare il senso di scoperta e la voglia di esplorazione, ci sono proprio i succitati manufatti, uno degli aspetti che meglio risentono di questa dinamica. Oltre ai numerosi tesori, si uniscono al gruppo di collezionabili anche i “documenti”, che andandosi ad inserire direttamente nel diario di Drake, sono spesso forieri di nuove linee di dialogo con i personaggi che ci accompagneranno, aiutandoci a scoprire risvolti della storia, sia inerenti la caccia al tesoro che un po’ più “personali”. Con mappe così ampie ne viene da sé che i collezionabili sono più che mai sparsi in giro per il gioco, risultando forse i più impegnativi da trovare nell’intera serie, ma anche quelli più soddisfacenti da trovare.
E così tra fasi puramente narrative a sessioni riccamente esplorative, anche il gameplay di Uncharted 4, come la sua trama, parte da premesse note, compiendo poi un giro inaspettato. In pratica, a differenza dei suoi antesignani U4 si prende la briga di offrire al giocatore delle scelte, quanto meno nel modo in cui approcciarsi ai livelli o ai nemici, lasciando che lo spirito di avventura di Nathan e quello del giocatore aderiscano in modo sapiente e, credetemi, l’escamotage funziona. Trovarsi nella prima mappa aperta guidando una jeep, o avere la possibilità di girare per isolotti alla ricerca di tesori, sono situazioni che non sono nuove nel panorama videoludico, ma in questa serie – e nella loro novità – costituiscono una sorpresa tale da spiazzare, emozionare e ovviamente divertire. La “non linearità” dell’esplorazione è forse quanto di più bello e fresco si respiri in Uncharted 4 ed è un file rouge che corre lungo tutta l’avventura, dalle situazioni piccole (giri per una grotta che ha così tanti anfratti da farti perdere) a quelle grandi e intacca persino vecchi e rodati cliché, come quello della tipica fuga con la telecamera frontale che qui si trasforma in una fuga rocambolesca per strade e stradine, con la direzione affidata al controllo completo del giocatore che è, a quel punto, estasiato, emozionato, affamato di avventura.
Dal punto di vista tecnico Uncharted 4 è certamente quanto di più bello e definito si possa apprezzare su console sino ad ora. Nauthy Dog dimostra ancora una volta incredibile competenza nello spremere l’hardware Sony onde ottenere risultati francamente impressionanti. Pensate a titoli tecnicamente imponenti come 1886: The Order, ebbene Uncharted 4 va oltre, su tutto grazie alla straordinaria vastità delle mappe che mai cedono il passo a texture slavate o a incertezze di sorta. Il gioco è granitico e lo mostra praticamente in ogni circostanza, presentando al giocatore un mondo lussureggiante, dinamico e ricchissimo di dettagli. La maestria con cui il tutto è confezionato è impressionante, dal movimento delle foglie spinte dal vento, agli effetti di acqua e neve su vestiti e capelli, passando alle impronte sul terreno o ai riflessi in praticamente ogni superficie riflettente. E il bello è che il gioco processa tutto in tempo reale, senza praticamente mai caricare, salvo che per una manciata di secondi all’avvio della partita. Tutto il resto è un lungo intreccio di raro fascino, complice una palette cromatica che tinteggia sempre in modo impeccabile i vari luoghi che ci troveremo ad esplorare, ed una serie di effetti (particellari, ombre, luci dinamiche) capace di amplificare non solo il realismo ma la bellezza in sé dell’intera opera. Certo non mancano dei compromessi. Restare incastrati su di una pianta che proprio non si vuole muovere a causa del suo fogliame “solido” è una magagna… rara ma pur sempre magagna. Robetta comunque, che non fa certo sfigurare un gioco che, come intuirete, è innanzitutto carico di una certa biodiversità (con tanto di animali che saltellano in giro per certi livelli). A farla da padrone, comunque, è certamente il comparto animazioni che nonostante il passato glorioso di Naughty Dog è ancora ricchissimo di sorprese. I personaggi di Uncharted sono oltremodo naturali, e non parliamo certo dei semplici filmati (i cui attori digitali, come immaginerete, sono lo stato dell’arte sotto praticamente ogni punto di vista). No… camminate per un mercato, e guardate Nathan “inciampare” nei passanti. Passate davanti ad uno specchio ed osservate Mr. Drake darsi una veloce occhiata alla barba. Camminate su superfici sconnesse, e noterete inciampi e scivoloni. La naturalezza con cui i personaggi si comportano è tanto superflua quanto visivamente appagante e conferma quanto Naughty Dog sia un team di competentissimi perfezionisti. Peccato solo che in un codice così bello, così pulito e funzionale, trovi posto un’IA ridicola e inadeguata. Unico motivo per cui Uncharted 4 è lungi dalla perfezione è infatti l’intelligenza artificiale nemica, la cui idiozia è agli antipodi rispetto al resto della produzione. Se nelle sezioni di puro shooting i nemici sono aggressivi e organizzati, nelle restanti occasioni sono di una stupidità aberrante, e specie grazie al nuovo sistema “stealth” essi spesso sembrano ignari della nostra presenza anche quando stiamo compiendo capriole dietro al loro deretano. Il gioco soffre inoltre della terribile “sindrome di Ellie”, malattia ereditata da The Last Of Us tale da rendere i personaggi che ci accompagnano del tutto ignorabili per gli avversari, salvo ovviamente non si sia nel bel mezzo di una sparatoria, ma con The Last Of Us digerito già da qualche anno, vedere ripetersi lo stesso tragico errore lascia comunque basiti.
“Coloro che sognano di giorno sono uomini pericolosi,
perché possono vivere i loro sogni a occhi aperti e realizzarli.
Io sono uno di questi.”