Inquietanti derive del successo del videogame.
La rete è piena di playthrough, approfondimenti, gameplay e discussioni sulla bontà di Monster Hunter World, rendendolo a tutti gli effetti uno dei giochi più chiacchierati del mese. Che sia bello o meno, che meriti tutta questa attenzione o no, sono argomenti che tratteremo nell’imminente recensione, che sta crescendo e si sta ingigantendo per rispetto a questo titolo che comunque è ipertrofico e sconfinato.
Oggi invece vogliamo gettare un occhio a quello che accade appena fuori dai confini del gioco, a come questo abbia in qualche modo influenzato i giocatori. Sembra un approccio bizzarro, ma davvero, il fatto che Monster Hunter abbia raggiunto un numero elevatissimo di videogiocatori ha acceso mille e più discussioni, sia tecniche che, potremmo dire, sociali.
Seguiteci in questo veloce excursus, perché ci sono alcune considerazioni che ci hanno fatto riflettere, soprattutto in merito alle community e a quanto sia sottile il velo che talvolta separa il videogame dalla realtà e quanto questo possa diventare deleterio.
Il peso e il retaggio della Storia
Se lo vediamo da lontano, Monster Hunter è un un pezzo della storia dei videogame che ha fatto parlare di sè. In Giappone è stato ed è un titolo che ha aggredito il mercato ferocemente con la forza di un Devil-Joh, arrivando direttamente al cuore di una vastissima schiera di aficionados che l’hanno amato alla follia e hanno continuato a farlo per oltre dieci anni.
In Occidente le cose sono state leggermente diverse, non tanto perché il gioco fosse poco appetibile, ma perché non aveva alle spalle la stessa campagna pubblicitaria e di marketing che gli era stata dedicata in Giappone. E infatti le vendite sono state sempre drammaticamente inferiori, tanto che alcune edizioni della serie non sono mai state pubblicate fuori dalla Terra del Sol Levante.
Nonostante queste difficoltà, attorno alla saga dei Cacciatori di Mostri si è venuta a creare ugualmente una community molto attiva, grazie alla potenza social del gioco stesso, soprattutto con la sua componente online e le ultime versioni portatili. È un po’ lo stesso meccanismo che ha portato al successo i Pokémon, sulla scia dell’interazione tra persone per ottenere ricompense sempre migliori. La filosofia del farming di Monster Hunter ha poi fatto il resto, cementando i legami tra giocatori.
L’avvento dei social ha poi ingigantito drammaticamente questo aspetto, con l’arrivo dei forum prima e dei Gruppi Facebook successivamente, dimostrando e portando alla scoperto questo gran numero di appassionati che sembrava quasi sommerso.
La community dietro Monster Hunter è molto attiva, indubbiamente, e non mancano mai discussioni di ogni natura. Se ne avete la possibilità vi consiglio di iscrivervi e seguirne qualcuna, se siete davvero interessati a trovare sempre persone capaci di aiutare e dare consigli. Perché molti giocatori che bazzicano questi luoghi sono dei veri e propri veterani che macinano mostri da anni e anni e conoscono davvero ogni segreto del gioco con tutti gli aggiornamenti sopraggiunti nel corso delle varie edizioni.
Fin qui sembra davvero un piccolo paradiso: un luogo virtuale abitato da persone unite dalla stessa passione, dove si divertono grandi e piccini (in senso videoludico, non anagrafico!). Purtroppo, la situazione ha anche dei contorni un po’ inquietanti e ha assunto spesso delle sfumature negative e fastidiose.
Non voglio bacchettare la bontà delle community, né tanto meno quelle che ruotano intorno a Monster Hunter, e di cui faccio parte, tra l’altro, ma ho avuto modo di riflettere sul valore che Monster Hunter World ha assunto nel panorama dei vecchi estimatori del gioco.
Quello che ho visto è che con questo capitolo la saga finalmente è uscita fuori dalla circoscritta nicchia di mercato per diventare un titolo Mainstream. Non credo di sbagliarmi, anche se non si hanno dei dati di vendita effettivi, ma World è stato uno dei titoli della serie a vendere meglio in tutto il mondo, e non solo in Patria.
Questo successo ha comportato l’ingresso nelle community di tantissimi giocatori inesperti, poco avvezzi alla terminologia del gioco (spesso un mix incomprensibile di acronimi e parole inglesi italianizzate), completamente inconsci sulle meccaniche e sulle dinamiche del gioco. Ora, sapete quanto me che Monster Hunter è un gioco un po’ complicato da capire e il passaggio logico inevitabile è quello di chiedere consiglio.
Con questa dinamica sono emersi tanti utenti che sembravano quasi infastiditi dalle richieste di chiarimenti, che si trinceravano dietro lo slang solo per il gusto di non dare delle risposte dirette, arrivando addirittura a redarguire gli altri dal dare spiegazioni, come se per riuscire a divertirsi con un titolo del genere bisognasse per forza aver finito tutti i capitoli precedenti dal 2005 a oggi…
La prima interpretazione che mi è venuta in mente è che molte di queste persone si sono sentite quasi ferite dal successo planetario del gioco, come se il fatto che tantissimi utenti adesso ne possedessero uno copia, svalutasse l’effettivo valore del titolo. Il sospetto più grande, ma non posso esserne sicuro, è che la vera delusione è stata quella di non giocare a qualcosa che fosse per pochi: potrebbe sembrare assurdo, ma probabilmente l’idea di apprezzare un videogame poco conosciuto, di nicchia, crea quell’alone di ‘stranezza’ tale da caratterizzare il giocatore stesso. È un effetto paragonabile a quelli che si vantano di leggere autori semisconosciuti dell’ottocento francese, tipo Lautréamon, solo per darsi delle arie da intellettuale dall’animo tormentato che cerca conforto in nicchie oscure della cultura mondiale.
Quando invece il luogo sicuro del gioco di nicchia viene invaso da gente di ogni tipo, impreparata che ‘non capisce la filosofia di Monster Hunter’, ecco che tutto crolla, e automaticamente si scatena il rifiuto verso i neofiti, che hanno la colpa sola ed esclusiva di aver abboccato alla pubblicità della Capcom e che vengono visti come la causa della perdita di unicità. Se prima si era quelli strani che giocavano a quel gioco con gli animali e le armature, ora si è uno dei tanti che ha comprato Monster Hunter World. E cosa c’è di peggio di essere uniformati?
Ora, per rimettere tutto in prospettiva, non è che chiunque abbia un po’ di esperienza come Cacciatore sia un povero frustrato che trova piacere nel sentirsi più bravo degli altri. NO. Le community di Monster Hunter sono piene di giocatori fantastici, bravissimi e sempre propensi a dare una mano. Però purtroppo questi ragionamenti insensati hanno dalla loro il vantaggio di essere urlati, e di arrivare alle orecchie di troppe persone. Come si sa, basta una sola goccia di veleno per contaminare un’intera bottiglia d’acqua…
Poi se vogliamo essere del tutto sinceri, se davvero si è fan di Monster Hunter, allora la speranza dovrebbe essere che diventi un successo di pubblico sempre più grande, perché solo così Capcom può continuare a permettersi DLC gratuiti, aggiornamenti continui della piattaforma e capitoli futuri sempre migliori.
Se lasciamo che Monster Hunter diventi un fenomeno di nicchia, allora aspettatevi che da qui a qualche anno, non lo avremo più in Occidente, e la colpa, se questo dovesse accadere, sarà anche imputabile al comportamento poco inclusivo degli snob del videogame, quelli che per sentirsi persone interessanti devono per forza giocare da soli.
Ora, Fedeli Lettori, se qualcuno di voi sta leggendo queste parole e si è sentito chiamato in causa, allora vuol dire che siete entrati in questo perfido circolo vizioso. Smettetela. Ritornerete a divertirvi!
Ma che ti ha fatto di male?
Dopo questo viaggetto nella Rotten Vale delle Community di Monster Hunter (e vi posso assicurare che di considerazioni da fare ce ne sarebbero tante altre, ma vi risparmio il calvario), parliamo in maniera veloce e concisa di un altro fenomeno che ha accompagnato l’uscita di World e che è in qualche modo collegata a quanto detto sopra, soprattutto perché è strettamente correlata al successo del gioco.
Da quando si è iniziato a cacciare seriamente, con tanto di streaming e video su YouTube, più di una persona che ha avuto in mano il gioco o ha visto filmati, ha manifestato un certo disappunto. Il punto del discorso è che vedere i mostri azzoppati, feriti e prossimi a lasciarci le penne può essere uno shock tale da far nascere quel sentimento di empatia verso gli animali, lacerando di fatto il velo che dovrebbe separare il gioco dalla realtà.
Ad una prima occhiata, questa reazione potrebbe far sorridere, bollandola come una esagerazione neanche degna di tanta attenzione. D’altronde è come quando il serial killer di turno fa fuori un’intera famiglia (mamma, papà e due bambini) e poi se la prende anche con il cane. Il primo commento sarà sempre: ‘Perché anche il cane?’ Che ha fatto di male?’. Sorvoliamo sul fatto che neanche il resto della famiglia fosse tanto colpevole da meritarsi di essere uccisa, ma concentriamoci sul cane. Si tende a escludere l’animale e reputarlo ancora più estraneo alle meccaniche di violenza umane proprio perché non umano, con il sottotesto che se sei un serial killer, allora prenditela solo con quelli della tua specie.
Alla stessa maniera, tolleriamo di far fuori crucchi a Call of Duty, investire e picchiare cittadini ignari con GTA, o falciare zombie in Left for Dead, ma sentiamo un moto di profondo dispiacere se vediamo un maledetto Anjanat incedere zoppicando verso la tana.
Non sono qui a cercare il motivo di questo comportamento, Al massimo mi verrebbe da fare i complimenti a Capcom per come ha ricreato i suoi mostri (perché sono MOSTRI, non animali da compagnia), talmente complessi, dettagliati e curati da sembrare vivi a tutti gli effetti. Gli ecosistemi, il fatto che ciascun mostro abbia un comportamento unico e risponda alle sollecitazioni esterne in maniera del tutto riconoscibile, rendono questo gioco un piccolo capolavoro di simulazione ambientale.
Ma a parte i complimenti alla Capcom e i sorrisetti accondiscendenti a chi si preoccupa della sorte di un Diablos (maledetto cornuto!), c’è un altro risvolto che forse non appare così immediato e che potrebbe emergere da un momento all’altro a causa del grande successo che il titolo sta riscuotendo.
Purtroppo bisogna tenere in considerazione che presto o tardi qualcuno dei tanti benpensanti politically correct, qualche mamma facilmente indignabile, o un qualsiasi opinionista della domenica a corto di argomenti a lui sconosciuti potrebbe pontificare: ‘Questi giochi insegnano ai nostri figli a torturare gli animali!’
Basta una cosa così per ritornare negli aberranti anni 80-90 quando tutto il male dell’universo, dalla droga a Gigi Sabani, era imputabile ai videogame che ottundevano le menti. Ci ritroveremo a dover fronteggiare un’altra crociata contro i nostri amici poligonali, e questa volta dovremmo forse vedercela con gli animalisti, i vegani e tutti gli altri gruppi corollari che inevitabilmente emergono come funghi dopo le piogge.
Quindi se davvero vi trovate a dover fronteggiare un’emergenza ‘empatia’ con qualcuno di vostra conoscenza, cercate immediatamente di arginare il problema, magari spiegando che gran parte del lavoro fatto dagli umani del gioco è di studio e ricerca, e che il completino di pelle di Rathalos era in saldo all’Upim, non avete mica dovuto sterminarne tre per riuscire a forgiarlo!