Una donna intrappolata in un sistema che non funziona è la protagonista dell’ultimo intenso film di Steven Soderbergh
Il nuovo film di Soderbergh, che arriva in Italia il 5 luglio, con un certo ritardo rispetto al resto del mondo, è un thriller psicologico che ci rende partecipi della caduta nell’abisso di Sawyer. La ragazza protagonista delle vicende vive a molti chilometri dalla città natale e dalla famiglia per tenere lontani i traumi e le fobie di uno stalker che l’ha vessata per anni. Nonostante ci venga presentata come un personaggio forte, intelligente e con un certo carattere, Sawyer non riesce totalmente a cambiar pagina, questo brutto capitolo della sua vita continua a impedirle di essere felice. Ecco quindi che decide di farsi aiutare da una psicologa, a cui confida problemi e debolezze.
Se fino a questo punto il racconto rimane inquadrato, verosimile e coerente, è da questo momento in poi che il film di Soderbergh acquista toni quasi surreali,almeno all’apparenza. Sawyer infatti dopo la seduta, viene trattenuta a forza in questo istituto di igiene mentale, senza apparente vero motivo e senza una concreta giustificazione. Un vero incubo. Un incubo però che Soderbergh dirige con estrema lucidità. Non siamo in quel filone in cui non distinguiamo la realtà dalla follia del protagonista o in cui, con l’espediente del tema delle fobie e dei disturbi mentali, si gioca con lo spettatore deviando il suo intuito e rendendolo scettico nei confronti di tutto ciò che viene mostrato su schermo. Assolutamente no, Unsane è un film che rimane con i piedi per terra, così come la sua protagonista, che si estranea da tutto il resto, e che si muove esattamente come farebbe qualunque persona in una situazione simile. Una situazione che Soderbergh con estremo cinismo e rigorosità schematica descrive per filo e per segno attraverso la voce di uno dei suoi personaggi nel film, e che inquadra una società che critica aspramente sul versante politico, economico e nella gestione del sistema sanitario.
Tale plausibilità rende il film estremamente immersivo e coinvolgente, creando empatia tra spettatore e protagonista senza bisogno di sensazionalismi o di caricare la scena eccessivamente per descrivere il disagio di Sawyer. Questo se non fosse che ad un certo punto, Soderbergh decide di alzare l’asticella, inserendo una ulteriore variabile nel contesto angosciante che Sawyer è costretta a vivere. Tale “problematicità”, che terrò sul vago per non influire sulla vostra visione del film, porta tematiche sicuramente complementari e non fuori luogo rispetto a quelle che ci vengono inizialmente messe nel piatto, ma allo stesso tempo fanno prendere una deriva sicuramente più cinematografica e “prevedibile” al film, costringendo anche il regista a quegli eccessi che fino a quel momento aveva evitato, tra violenza e pazzia, che evidentemente ha ritenuto opportuno inserire per veicolare a dovere il messaggio finale, che in effetti colpisce nel segno. Ma probabilmente la deriva thriller serve anche a dare un “corpo” al film più digeribile e familiare per la platea. Esigenza, ammesso e non concesso che di essa si tratti, che Soderbergh poteva anche non porsi vista la totale indipendenza di questo suo progetto.
A livello formale il regista e sceneggiatore statunitense fa un lavoro encomiabile, pulito, “invisibile” e di impatto. Curiosa la scelta di girare tutto con un Iphone 7. Trovata pubblicitaria? Esigenza artistica? Non ve lo saprei dire, ma sicuramente ove ovviamente la tecnica usata toglie profondità all’immagine e omologa la fotografia in tutti i frangenti (oltre che non consentire grosse panoramiche esterne, fortunatamente non necessarie), dall’altra imprimono quella matrice “documentaristica” e “realistica” al film (girato comunque in maniera tradizionale) che sicuramente ben si sposa con la natura della storia.
Verdetto
Unsane è un buon film, nonostante il budget limitato la resa rimane d’alto livello soprattutto grazie alle ottime doti recitative di tutti gli interpreti, la protagonista Clare Foy su tutti. È anche un film intelligente, ricco di significato e capace di tenere in tensione lo spettatore per tutta la sua durata. Rimane comunque una tensione pacata, non portata all’eccesso con una drammaticità esasperata ed esibita, se non nella sua seconda metà, quando in qualche modo si rompe quel filo di lucido racconto reale per alzare l’asticella dell’intensità, riuscendoci ma allo stesso tempo, deragliando su un percorso narrativo più ordinario e “prevedibilmente travolgente”, ma che finisce per diluire un po’ troppo le premesse della storia .