Utopia, remake scritto e prodotto da Gillian Flynn della serie britannica del 2013, è un grande esempio di buon intrattenimento e bad timing
Attenzione: il seguente articolo contiene spoiler dalla prima stagione di Utopia.
Pensate a degli esempi di pessimo tempismo: uscire di casa senza ombrello proprio nel momento in cui inizia a piovere, provare a invadere la Russia in pieno inverno, lanciare nel 2020 una serie tv che parla di una pandemia scatenata da una casa farmaceutica per inoculare un castrante chimico alla popolazione attraverso un vaccino.
Mancano ancora un paio di mesi alla fine dell’anno – e potenzialmente potrebbe succedere di tutto – ma per il momento possiamo incoronare Utopia regina del bad timing. La serie, remake dell’omonima britannica del 2013, è disponibile su Amazon Prime Video con gli otto episodi della prima stagione, scritti e prodotti dalla Gone Girl Gillian Flynn.
Ma che cos’è, Utopia?
Utopia è una serie che unisce thriller, gore, fantascienza e teorie del complotto, senza tralasciare un misterioso fumetto – un graphic novel – come sottolinea la Becky della versione britannica in grado di predirre le future pandemie che affliggeranno l’umanità. Proprio le tavole del fumetto in questione sono il motore che muove le avventure di un gruppo di fan che, nel tentativo di aggiudicarsi l’unica copia di Utopia, resterà invischiato nel sangue versato da dei loschi figuri disposti a tutto pur di cancellare dalla terra la presenza di chiunque sia entrato in contatto con il profetico volume. Se la versione del 2013 si affidava prepotentemente alla violenza grafica e alle macchinazioni politiche per raccontare questa storia di complotti, questo remake, pur partendo dalla stessa premessa, si muove in una direzione figlia degli anni intercorsi tra Utopia UK e Utopia US. Come sostenuto dalla stessa Flynn, intervistata da RadioTimes: I’ve never understood that idea of remaking something, desperately devoted to being exactly like the thing that you were remaking. E questa nuova Utopia non è come la vecchia, nossignore, è in qualche modo più spaventosa nella sua plausibilità.
Non solo un cambio di prospettiva e una visione dell’attualità che ha costretto la piattaforma a inserire un disclaimer prima di ogni puntata, ma anche un nuovo setting – da Londra a Chicago – e nuovi personaggi, primo tra tutti il dottor Kevin Christie interpretato da John Cusack, un genio-padredifamiglia-miliardario-filantropo che ha a cuore i bambini, il destino dell’umanità, ma che è – soprattutto – fermamente deciso a guadagnarsi ogni giorno il suo posto in questo mondo affollato. Se recentemente abbiamo avuto a che fare con una storia di fantasmi che è in realtà una storia d’amore, in questo caso ci troviamo di fronte a una storia di utopia che è in realtà una distopia. Almeno per qualcuno.
L’utopia del singolo, il totalitarismo dell’utopia
Nel saggio dal titolo Utopiyin, Utopiyang contenuta nel volume No Time to Spare – Thinking About What Matter e disponibile gratuitamente per la lettura online, Ursula K. Le Guin riflette su come buoni e cattivi luoghi siano spesso sovrapponibili e definiti nell’uno o l’altro modo solo per mezzo della percezione del singolo. Come nel taoismo, every eutopia contains a dystopia, every dystopia contains a eutopia. Yin e Yang si influenzano a vicenda e una società può essere paradisiaca per una parte della sua popolazione, infernale per l’altra (diciamo con una percentuale dell’uno contro il novantanove per cento). L’utopia in Utopia (perdonate la ridondanza) è un perfetto esempio di non luogo, di ideale, più che di prospettiva di società e il complesso e tentacolare progetto di riduzione della popolazione umana messo in piedi da Kevin Christie prevede il raggiungimento dell’utopia solo dopo un passaggio obbligato nella distopia della sterilizzazione coatta dell’intera specie umana. Quando il visionario inizia ad agire per il bene di tutta l’umanità, quello è il momento in cui l’utopia diventa totalitarismo.
Per Kevin Christie, il metodo per risolvere il problema del cambiamento climatico, dell’esaurimento dei combustibili fossili, delle carestie e delle migrazioni economiche, tagliando la popolazione fino a tornare a quel miliardo e sette di cento anni fa, è creare una pandemia e veicolare la sua soluzione alla popolazione tramite un vaccino. E qua, purtroppo, casca l’asino del pessimo tempismo.
Stay alive, Jessica Hyde!
Utopia è un prodotto di intrattenimento che dosa bene violenza e ironia, dramma e carisma, con dei personaggi – soprattutto quelli femminili, cavallo di battaglia di Gillian Flynn – mai banali o vittime degli stereotipi che spesso accompagnano la narrazione della violenza, della malattia, del disagio. Se Jessica Hyde è l’eroina della sua storia, dentro e fuori dal fumetto, è anche, però, una ragazza cresciuta per strada, incrinata, abituata a vivere sempre come se dovesse attaccare o fuggire, perseguitata da un lutto mai processato, che si nasconde sotto il lavello per urlare la sua delusione nei confronti del mondo. Ma se scaviamo un po’ più a fondo, Utopia è anche una serie che sembra uscita dai peggiori sogni bagnati dei complottisti antiscientisti.
Non è scienza, è fantascienza è uno di quei luoghi comuni che identifica una narrazione dell’immaginario, dell’irrealistico, dell’iperbolico. Sebbene sia, appunto, un luogo comune ben lontano da ciò che è realmente la letteratura speculativa – una letteratura che fa della plausibilità il suo stendardo – per una volta sarebbe stato più rassicurante che gli eventi narrati in Utopia potessero ascriversi in toto al magico mondo dell’è solo fantascienza. Più che della sospensione dell’incredulità, ci troviamo qua a dover ricorrere alla sospensione della realtà e, in sostanza, questa prima stagione di Utopia non è altro che un esercizio di immedesimazione nei panni di chi si sforza sempre di trovare una realtà alternativa, una versione dei fatti che non viene divulgata, un complotto. Sebbene l’empatia sia un grande valore spesso sottovalutato, questo preciso momento storico, molto complesso, in cui le teorie del complotto si accavallano a informazioni vaghe, fake news, rendono questa serie tv lo specchio di una realtà dannosa, una messa in scena di dinamiche che escono dallo schermo ed entrano nella vita reale.
Stranger than fiction
Pessimo tempismo, appunto, nel presentare al pubblico una teoria troppo realistica, personaggi troppo veri, nell’inscenare zone di quarantena, influenze zoonotiche, in un periodo in qui la cronaca è invasa da quelle stesse immagini; pessimo tempismo nel presentare una situazione così simile alla nostra come frutto di un complotto di Big Pharma, come se ci fosse bisogno di soffiare sul fuoco del complottismo. Pessimo tempismo nel presentare un prodotto così ambiguo nei confronti della scienza.
Tuttavia, se ve la sentite di affrontare un universo narrativo che presenta più riflessioni che escapismo dalla nostra realtà, se i disclaimer non vi fanno gridare alla censura del libero pensiero, se non bastano otto episodi a far vacillare il vostro ottimismo e farvi parteggiare per il Thanos dei Christie Labs, guardatevi Utopia, è davvero una bella serie.