Una piacevole e lunga chiacchierata con Valerio Schiti, uno dei più apprezzati talenti della Marvel, che ci ha anche rivelato qualcosa sul nuovo progetto, Empyre.
Intervistare Valerio Schiti non sembra nemmeno lavoro. Si chiacchiera piacevolmente dei fumetti che più amiamo, dei film, dei personaggi, di come ciascuno di noi si approccia al lavoro e ai personaggi che ci hanno cresciuto. Ma anche lui è curioso su come funziona il nostro lavoro di scrittori, quindi l’intervista diventa ben presto uno scambio di idee. La curiosità è forse la caratteristica migliore che possa avere un artista, per questo abbiamo cercato di riportarvi tutto il confronto con questo artista, uno dei più apprezzati alla Marvel attualmente. Che porta alta l’identità italiana negli States con un metodo: l’autodisciplina. Dalle sue parole capiamo perché sempre più italiani lavorano in Marvel… e siamo riusciti anche a farci dire qualcosa su Empyre…
Sei in Marvel da diversi anni, forse uno dei più longevi?
Saranno ormai circa otto anni. Ma prima di me c’erano anche altri italiani, da Giuseppe Camuncoli (Cammo) a Carmine Di Giandomenico. Sono sicuramente, se così si può dire, uno dei primi della seconda ondata. Quando ho iniziato, su Journey to Mistery, prima di me il ciclo precedente lo aveva curato Carmine.
Sbaglio o ci sono sempre più italiani in Marvel ultimamente?
Non sbagli: in effetti capita sempre più spesso. E spero che continui così per alcuni giovani talenti che si stanno affacciando alla scena internazionale e che noi già conosciamo.
Al di là dell’orgoglio nazionale, forse vuol dire anche che le nostre scuole stiano acquisendo una qualità e una credibilità sempre maggiori?
Penso di sì. Credo che si sia creato un circolo virtuoso. Credo di essere dove mi trovo anche grazie agli insegnanti che ho avuto. E io a mia volta, voglio insegnare lo stesso. Quindi portare a una crescita progressiva.
E poi voi, già presenti in Marvel, portate alta una bandiera: se uno o più di voi si comportasse in modo poco professionale, si farebbe presto a cadere nel cliché dell’italiano scansafatiche. Invece voi siete apprezzatissimi…
Vero. Per esempio, una cosa che ci sentiamo ripetere spesso è che noi italiani siamo molto bravi nel problem solving. Non siamo persone che creano problemi, ma che vengono persino chiamate anche per risolvere problemi creati da altri. Si dice che siamo molto affidabili. C’è da dire che noi veniamo formati così dalle nostre scuole di fumetto: ci insegnano a essere professionisti affidabili. Alla Marvel detestano – giustamente – i deadline fuckers. Quello del fumettista è un lavoro. Viene sempre percepito solo come una passione, a un’arte, anche minore se vogliamo, ma è un lavoro. C’è una grossa componente dedicata alle scadenze, ai pre-ordini. Quindi anche la pianificazione e l’affidabilità sono una grossa componente di questo lavoro. E all’estero viene molto apprezzata. Non dico certo prima del talento, ma quasi alla pari.
Forse è così in ogni campo. Si tende a vedere l’artista, in un modo romantico e un po’ passato, come quello che non fa quasi nulla e poi si siede e disegna, scrive o altro… Invece ho visto artisti programmare il lavoro di mesi…
Infatti è così: la percezione è diversa dalla realtà. Ho avuto insegnamenti, come quelli di David Messina, che mi hanno fatto capire che il lavoro si programma, che ci vuole autodisciplina, ci vuole costanza. Bisogna organizzare il lavoro. E anche quelli sono insegnamenti preziosi, non solo le classi di disegno. Ognuno poi deve provare il suo metodo. Il mio è quello di essere il più rigoroso possibile. Spesso, anche nel nostro ambiente, mi prendono in giro perché dicono che lavoro come un impiegato. Ho orari precisi: inizio al mattino verso le 8.30 e verso le 18 stacco. Però spesso lavoro nel weekend, ma quella è più che altro una scelta. Essendo libero, preferisco prendermi pause quando mi va piuttosto che lasciare libero ogni fine settimana. Ma cerco di essere il più ordinario possibile. Da ragazzino ero confusionario, quindi so che ho bisogno di autodisciplina.
Parlavi di problem solving. Intendi proprio che alla Marvel vi è capitato di risolvere problemi altrui?
Esatto. Mi è capitato con modalità diverse. Per esempio su Guardiani della galassia, si era formato parecchio ritardo. Quando sono entrato io, mi hanno spiegato qual era il problema e, a poco a poco, lo abbiamo recuperato. Nel giro di cinque numeri, abbiamo recuperato tutto il ritardo accumulato in precedenza. Oppure capita che un disegnatore sia in difficoltà perché ha più serie e l’azienda ti chiede di aiutarlo su qualche tavola…
Vogliamo spiegare ai lettori di Stay Nerd come funziona il lavoro in Marvel?
Prima di tutto c’è una figura fondamentale, che è l’editor. Sotto di lui, ci sono tutti i comparti più artistici, dagli sceneggiatori, ai disegnatori, ai coloristi, ecc. La sceneggiatura mi arriva dopo che l’editor la ha visionata. A quel punto faccio delle bozze assolutamente approssimative delle tavole, che rimangono a me e non vengono mostrate a nessuno. Quindi faccio delle matite, non precise, non finali, e le mostro agli editor. Quando vengono approvate, di solito cinque o dieci per volta, vado piano piano avanti. Rispetto anche ad altri disegnatori, io tendo a fare prima tutte le matite e poi tutte le chine. Dopo quindi inchiostro le matite. Mando tutto via email. E poi tutto viene sempre approvato dagli editor, anche dopo che il colorista ha colorato le mie chine, io lo rivedo per fare in modo che non ci sia nessuna incomprensione. Poi c’è un’approvazione finale. L’editor e i suoi assistenti supervisionano tutto. Con la quantità di personaggi che esistono in Marvel, sono coloro che ti mandano anche i riferimenti, si occupano di dare una coerenza all’albo.
Questo accade anche nel caso di Empyre, la nuova miniserie a cui stai lavorando?
Nel caso specifico di Empyre, vengono coinvolti dei personaggi degli Avengers, che sono tantissimi. Poi ci saranno anche dei personaggi nuovi, creati appositamente per la testata. Immagina cosa sarebbe il lavoro senza gli editor… Ci saranno anche dei cattivi, un intero esercito di cattivi. Gli editor ci hanno mandato tutta una serie di documentazioni sui personaggi da disegnare.
Cos’altro ci puoi dire su Empyre? Cosa ti faranno se ci dirai troppo?
Forse verrei cacciato, potrei venir crocifisso al centro del Comic-Con, nell’Artist Alley (ride n.d.R.)!
Empyre è la serie evento dell’anno prossimo. La Marvel, generalmente in primavera, organizza una sorta di cross-over, che poi diventa miniserie, che coinvolge più personaggi del suo universo. C’è una strada nuova, creata appositamente, che segue l’arco narrativo principale. Poi ogni singola testata farà cadere le conseguenze di questa storia sulla singola testata. Quindi vedremo poi anche cosa farà Tony Stark dopo Empyre. Troveremo i Fantastici Quattro e gli Avengers. Sono coinvolti anche gli Skrull, degli alieni mutaforma che molti conoscono per il film di Capitan Marvel. Sono nemici storici che fanno rotta verso la Terra. L’esercito sarà capitanato da Hulkling, che nasce nel team dei Vendicatori, ma che poi si è scoperto essere figlio di uno skrull, praticamente il figlio di un amore proibito. Gli Avengers e i Fantastici Quattro dovranno fermare l’invasione.
Ci hai rivelato molto della trama…
Be’, qui in Italia non ci sono, ma in America stanno uscendo tutta una serie di prequel di Empyre, per cui qualcosa si conosce. Incoming, per esempio, è un numero speciale di novanta pagine dove c’è un’indagine perché viene trovato morto un personaggio che sembra umano, ma poi non lo è. Questa indagine è un pretesto per mostrare come verranno coinvolti i personaggi all’interno della serie. È l’evento scatenante. Questa serie si collega a storie molto vecchie dell’universo Marvel. Non è una storia piovuta dal cielo, ma il compimento di alcune trame iniziate anche trenta o quaranta anni fa.
Tu su cosa sarai allocato precisamente?
Io gestirò l’arco temporale principale. Quindi Avengers, Fantastici Quattro, esercito dei cattivi… ho progettato astronavi, location, alcuni personaggi nuovi che poi sono stati consegnati ai disegnatori di altre serie più piccole. Quando compariranno gli Skrull per esempio su Iron Man, saranno basate su di me.
Continui a menzionare i Fantastici Quattro… Si dice che ti piacerebbe molto disegnare proprio sulla serie regolare.
Verissimo! Io disegno i Fantastici Quattro, ma come dei piccoli assaggi. Non sono mai stati sulla serie, ma ho avuto modo di disegnarli in altre storie e altre situazioni. Ma mi piacerebbe essere sulla serie regolare. Mi piace molto la dimensione familiare, quotidiana, normale. Dei supereroi in generale e dei Fantastici Quattro in particolare. Sono una famiglia. Mi piace il contrasto tra l’enorme invasione aliena e poi i problemi quotidiani di una famiglia.
Un po’ come Spider-man…
Infatti anche lui è un personaggio che mi piace tantissimo. Dopo aver affrontato e sconfitto super-criminali, deve pensare all’affitto di casa.
Come dire che per Tony Stark è più facile… ha giusto un paio di pensieri rispetto a noi…
Esatto! Poi magari ha altri problemi. Come l’essere un ex alcolista, più tormentato dal punto di vista emotivo.
Sicuramente quello fumettistico è molto più strutturato rispetto a quello cinematografico, più guascone. Tu, anche nel look, lo hai riportato a un aspetto più vintage, togliendo la barba e lasciandogli solo i baffi.
Sicuramente la psicologia è più strutturata. Quel look l’ho scelto per due motivi. La Marvel voleva un po’ contaminarlo con quello del film, senza però corrompere il personaggio storico. Lo sceneggiatore se ne è occupato dal punto di vista psicologico, io da quello visivo. Quindi la prima cosa è stato dotarlo di macchine d’epoca e completi dal gusto intramontabile. Ho intere cartelle piene di reference con completi da uomo, fermacravatte, accessori vari… Il secondo motivo è che il baffo è in qualche modo fuori moda. L’ho visto come un sintomo di spavalderia, un vezzo: io sono Tony Stark e non ho bisogno di essere alla moda per essere fico.
Com’è stato recepito dagli altri disegnatori?
All’inizio erano un po’ restii a questa storia dei baffi. Poi però gli è stato simpatico ed è rimasto. I ragazzini hanno apprezzato già dal terzo numero il Tony Stark con i baffi. All’inizio gli altri disegnatori non mi hanno seguito molto, anche per abitudine. Se per tanti anni hai disegnato il pizzetto, continui a disegnare il pizzetto. Poi abbiamo aggiunto delle altre complessità: come il fatto che non abbia più un’armatura fissa. E questo crea anche dei disagi a cui gli editor devono prestare attenzione.
Dopo Endgame, il lettore è slegato da quanto è accaduto al cinema?
I fumetti non hanno bisogno di seguire troppo le trame cinematografiche. I personaggi possono avere una vita loro. A me i Marvel Movies piacciono, mi piace il lavoro che è stato fatto su questo universo sterminato, la continuità e l’identità che è stata data. Poi va detto che c’è poca sinergia tra studios e casa editrice.
Cambiando argomento, per Rocket Raccoon so che hai avuto un modello molto particolare…
Il modello è Biagio, il mio cane. Poi ci metto tutte le espressioni mie e di mia moglie. Avere un animale a casa mi dà la possibilità di vedere come reagisce il pelo… Infatti si vede un miglioramento nel corso della serie I guardiani della galassia. Con mia moglie ci mettiamo in posa e cerchiamo di imitare le espressioni. Diventiamo qualunque personaggio Marvel, facciamo da modelli per tutto. Poi per esempio, Robin Hood della Disney è un riferimento per me. Vedere se la zampa poggia tutta o solo la punta, conferendo al personaggio un aspetto più umano o più caprino… sono particolari che fanno la differenza.
Pensi che il lettore medio la noti?
Forse non consapevolmente, ma a livello inconscio sì. Sono tutti quei particolari che caratterizzano un personaggio e che concorrono alla sua personalità. E penso che il lettore non ci faccia caso, ma che gli arrivi un discorso nella sua totalità. Anche su Empyre ho adottato un nuovo metodo di disegno, che spero servirà a dare emozioni.
I gruppi di fumettisti, come nel tuo caso il Gentlemen Kaiju Club, perché nascono?
Gli altri non lo so, il Kaiju nasce prima di tutto per portare avanti dei progetti al di fuori dall’ambito lavorativo. Progetti nostri, che ci piacciono, e che non c’entrano con le serie a cui lavoriamo. E poi è un vero collettivo di lavoro, con dei buoni amici e grandi professionisti a cui poter chiedere consigli e suggerimenti in caso di bisogno. A Lucca abbiamo presentato il nostro Artbook, che è tutt’ora disponibile. Comprende la raccolta dei lavori di design, portati avanti sia singolarmente che insieme.
Come si pone un disegnatore Marvel, oggi, nel discorso del rispetto del genere?
Questo è un discorso non tanto complicato, quanto complesso. La vulgata vuole che la Disney abbia acquisito la Marvel per prendere anche il pubblico dei bambini maschi, ma tutto questo ormai non è più tanto vero. Hanno avuto più di quello che pensavano, poiché la Marvel non è più una cosa solo da maschi. In Italia è un discorso considerato poco importante e non si capisce che fa più un film come Capitan Marvel che migliaia di discorsi. È popolare ,non arriva come una lezione, ti prende a livello emotivo. Sono concetti che arrivano alle emozioni e le nuove generazioni non si pongono proprio il problema. Una ragazzina che a carnevale entra al Disney Store, anziché da principessa, si vestirà da Capitan Marvel. Poi qui da noi ci sono poco, ma in America vendono le versioni femminili di Spider-man, di Hulk, eccetera. Non si pongono il problema se il supereroe sia femmina o maschio.
E come ti regoli sulla caratterizzazione fisica dei personaggi femminili, oggi che la iper-femminilità è vista come un insulto?
A me non piacciono gli stereotipi. Non mi piace che ci sia un solo modo per rappresentare le donne, ma anche gli uomini. Lo trovo ridicolo. Quando ogni personaggio femminile è super-figona e ogni personaggio maschile è super-pompato. Disegno per esempio She Hulk che è supermuscolosa, la Vedova Nera che è una ballerina, Susan Storm che, dopo avere avuto due figli, ha un sedere un po’ più grosso. Mr. Fantastic ha un fisico esile. A me piace che i personaggi siano variegati, e non è per una presa di posizione. Aggiunge anche veridicità. L’automatismo non mi piace, quello diventa lo stereotipo offensivo.