Vampires are strange
Vampyr è ad oggi il progetto più ambizioso realizzato da DONTNOD, lo sviluppatore francese che ha dato i natali a Life is Strange (per chi non lo conoscesse, qui la nostra recensione). Life is Strange è stato un gioco così potente da far dimenticare a tutti Remember Me, primo titolo di DONTNOD, tutt’altro che memorabile, portando di botto lo sviluppatore nel cuore dei giocatori di tutto il mondo. Dicevamo, il progetto più ambizioso di DONTNOD, che alza il tiro della semplice avventura grafica (anni ’10) per sviluppare un ARPG in cui il perno sono sempre le scelte del giocatore. Il progetto, quando mi venne mostrato un paio d’anni fa alla Gamescom, sembrava eccezionale: un gioco dove ogni NPC ha una sua identità e dei rapporti sociali, sui quali poter incidere decidendo di nutrirsene, da bravo vampiro, o di lasciarli vivere. Purtroppo l’ambizione spesso si scontra con la realtà, con le risorse economiche limitate e, probabilmente, con l’inesperienza di DONTNOD nello sviluppo di RPG così complessi. Il risultato è un gioco piacevole con molti limiti, che non riesce ad essere organico e ad amalgamare bene tutti gli elementi di cui è composto.
Partiamo dall’inizio. Il Dottor Reed è uno stimato ematologo, che nelle primissime battute del gioco rinasce vampiro, per nutrirsi pochi secondi dopo della sorella che non riesce a riconoscere, affamato. Inizia così Vampyr, ma non c’è solo questo. Londra è affetta dall’influenza spagnola, una delle più drammatiche epidemie del secolo scorso che durò dal 1918 al 1920 decimando la popolazione europea, ma anche dalla diffusione a macchia d’olio di vampiri fuori controllo. Le strade sono presidiate dalla Guardia di Priwen, un antico ordine di cacciatori di vampiri, la città versa in condizioni orribili, puntellata di cadaveri, e sembra essere sull’orlo della fine. Il nostro medico quindi si trova a metà tra le sue due nature: da una parte il vampiro, braccato e in costante bisogno di nutrimento, e dall’altra la sua vocazione professionale, per la quale vorrebbe aiutare la popolazione di Londra curandola dall’epidemia. A fare da sfondo c’è la struttura sociale dei vampiri, divisi in razze a seconda della provenienza geografica. Il problema è che tutto questo non funziona come dovrebbe. La storia, che banalmente racconta la ricerca della causa della diffusione dei vampiri a Londra, è sottotono, mancando di colpi di scena e mantenendosi sempre piatta per le circa 30 ore necessarie a portare a compimento il gioco. Il protagonista non sembra così turbato dal fatto di essersi “mangiato” la sorella, se non in un paio di battute, così come la contraddizione medico/vampiro esce fuori in modo eccessivamente timido. Londra, dal canto suo, è uno sfondo potenzialmente eccezionale, e potrebbe “essere coprotagonista” del gioco, se non fosse così vuota e statica. La lore, tutto quel background utile a definire il mondo di gioco, è appena accennato e non riesce a delineare un universo dal quale farsi affascinare, volendo scavare più in profondità.
Ma passiamo alla caratterizzazione e ai rapporti tra NPC, che sono l’effettiva novità del gioco. In Vampyr ci sono circa 60 personaggi secondari con cui interagire. Questi hanno spesso dei rapporti con altri personaggi, che siano amicali o familiari. La morte ha un peso importante nell’economia di Vampyr, e uccidere un NPC per nutrircene avrà delle conseguenze all’interno del quartiere, così come ne ha la morte per motivi diversi all’essere la nostra cena. Ognuna delle quattro zone del gioco ha infatti un livello di salute, che aumenta se tutti gli abitanti stanno bene (tutti possono ammalarsi, e Reed può curarli) e sono vivi, e che diminuisce alle inverse condizioni. Inoltre, ognuno di questi ha delle subquest da affidarci. Apriamo una parentesi: le subquest sono tra gli elementi meglio riusciti del gioco, semplicemente perché raccontano delle side story piacevoli e con qualche colpo di scena. Alcune sono anche in grado di tirare qualche sano schiaffo in faccia al giocatore, cosa che la trama non riesce mai a fare. Inoltre, elemento ancora più importante nell’economia del gioco, le subquest sono l’unico modo per livellare decentemente se si vuole giocare una run pacifica. Sembrerà strano a chi non ha mai sentito parlare di Vampyr, ma questi NPC di cui abbiamo parlato finora sono legati a doppio filo con la progressione del personaggio.
In Vampyr si accumulano punti esperienza come negli altri RPG, completando quest e sidequest, e uccidendo avversari; quest’ultima strada però restituisce pochissima exp, rivelandosi di fatto inutile. L’unico modo per essere al livello giusto per proseguire è quello di “abbracciare”, così si definisce nel gioco, gli NPC di cui vi parlavo prima, portando però a tutta quella serie di inconvenienti che culminano in interi quartieri nel caos. È quindi molto importante decidere chi e quando deve diventare la nostra cena, se non si vuole fare una partita senza uccidere nessuno. Quest’ultima opzione di fatto setta il gioco alla difficoltà massima, portando il giocatore ad essere sempre di circa 10 livelli più basso rispetto ai propri avversari. Anche il sistema di level up è pensato in quest’ottica, perché per spendere i punti esperienza guadagnati è obbligatorio riposare, facendo così avanzare di un giorno la nostra Londra. Alcune subquest inconcluse si risolveranno – negativamente – da sole, gli NPC ammalati peggioreranno, qualcuno morirà e alcune missioni secondarie potrebbero non essere più disponibili, creando quindi un enorme problema soprattutto in caso si voglia fare la già citata run pacifica. Ogni azione ha delle conseguenze nel mondo di gioco, quindi, ed è probabilmente l’aspetto più riuscito di Vampyr. Le decisioni importanti da compiere in seno alla quest principale invece hanno poco peso sulla stessa, ricadendo invece sempre sullo stato di salute dei quartieri.
Insomma, un’operazione riuscita a metà. Il mondo di gioco risponde agli stimoli dati dal giocatore, questo è vero, ma l’impatto sembra limitato e strumentale a far sentire il giocatore protagonista, prima di rispondere e soddisfare determinate esigenze narrative in senso stretto. L’interdipendenza tra crescita del personaggio e salute del mondo di gioco è interessante e ben pensata, anche se la messa in atto non gli rende totalmente giustizia sotto il profilo del bilanciamento: se è giusto che il giocatore abbia sempre “sete” di punti esperienza per mettersi in paro con i suoi avversari, e la mancanza di alternative al succhiare il sangue di qualcuno obblighi allo stoicismo se si vuole fare i bravi, è anche vero che la frustrazione è dietro l’angolo, e la mancanza di alternative di qualsiasi tipo, anche fossero state molto complesse ma più appaganti del semplice giocare sottolivellati e prendere schiaffi, avrebbero sicuramente arricchito il sistema. Mi permetto una piccola digressione: nell’RPG che vorrei, in caso non possa affrontare i nemici perché troppo basso di livello data la scelta di un personaggio che non vuole nuocere ad altri esseri umani, dovrei poter utilizzare la dialettica per uscire dalle situazioni, o magari scivolare dietro ai nemici senza farmi vedere per evitare lo scontro, con un impianto stealth completo, e non composto solo da una skill che rende momentaneamente invisibili. In Vampyr non c’è nessuna delle due possibilità, né un sistema di dialoghi complesso che permette di preferire la dialettica agli violenza, né la possibilità di giocare nascosto nelle ombre.
Quindi, dal momento che mi sono lamentato del fatto che il combattimento è l’unica opzione, parliamo di combattimento. Il battle system di Vampyr ricorda lontanamente quello dei souls. Il timing è fondamentale, il ritmo è lento, e c’è la stamina da gestire. L’attacco è uno soltanto, non c’è distinzione tra leggero e pesante, ma le armi si dividono in armi a due mani, che devono essere utilizzate da sole, e armi a una mano, a cui può essere affiancata un’arma secondaria bianca o un’arma da fuoco. La terza barra, oltre a stamina e salute, è quella del sangue, che va consumata per utilizzare le skill. Questa si carica mordendo gli avversari, una volta indeboliti, o utilizzando armi che la caricano. Questa è probabilmente la meccanica più importante di Vampyr sotto il profilo del gameplay, perché obbliga il giocatore a costruirsi una build pensata dall’inizio: se si decide di investire in armi che caricano il sangue, è inutile spendere exp in abilità che aumentano il sangue che si ricava mordendo gli avversari. D’altra parte è anche possibile utilizzare armi che lasciano gli avversari esposti ai morsi, obbligando quindi a comportarsi di conseguenza nella scelta delle skills. Anche il sistema di potenziamento delle armi è interessante, e dati i pochi materiali ottenibili per aumentare il livello di un’arma, bisogna fare una scelta fin dalle prime battute del gioco. Per ogni livello di ogni arma poi è possibile scegliere un perk tra i due disponibili: potenziare i danni, fargli consumare meno stamina o fargli estrarre sangue a ogni colpo, ad esempio? Insomma, costruire il personaggio in modo ragionato è possibile e consigliabile, ma anche obbligatorio in caso non si voglia pasteggiare con gli abitanti di Londra. Il sistema di combattimento in quanto tale però non è dei migliori, e spesso tende a premiare più il livello del nostro Buon Dottore e dell’equipaggiamento che la reale capacità del giocatore, soprattutto quando si hanno di fronte più nemici.
Tra il protagonista che si incastra nello scenario, la telecamera che va per conto suo, ambienti di gioco mal pensati per gli avversari che ci si devono fronteggiare e attacchi nemici poco leggibili, è veramente difficile avere sempre sotto controllo la situazione e affrontare forze eccessivamente più grandi delle nostre. Man mano che si prende la mano con le abilità e il personaggio inizia a prendere forma, mentre impariamo a utilizzare quanto abbiamo creato, la situazione migliora, ma ancora una volta il problema principale è quando si vuole giocare da bravi vampiri, con il gioco che da veramente poche possibilità per sfruttare le proprie capacità per superare il gap di livello con gli avversari.
Chiudiamo questa recensione l’aspetto tecnico di Vampyr. Il gioco è stato testato su Playstation 4 Pro, ma la situazione su Playstation 4 standard sembra essere la medesima, senza differenze di performance. Vampyr non fa certamente gridare al miracolo, ma è complessivamente piacevole e stabile. Le animazioni sono un po’ vintage, per così dire, e lo scenario è eccessivamente statico. La conta poligonale è dignitosa, e le texture piuttosto pulite. Londra è, nonostante l’eccessivo senso di vuoto, piuttosto bella da vedere, con quattro zone abbastanza diversificate sotto il profilo architettonico. Lo stesso non si può dire purtroppo per i nemici, pochi per design e moveset (discorso estendibile anche ai boss), e per la colonna sonora, sempre uguale a se stessa, e in grado di non farmi più tollerare il suono del violoncello.
Verdetto
Vampyr è stato un progetto probabilmente troppo ambizioso. Le idee di partenza sono ottime, ma la realizzazione finale purtroppo non riesce a valorizzarle come avrebbe dovuto. Rimane un gioco piacevole, che racconta talvolta storie interessanti, ambientato in una Londra marcia al punto giusto. DONTNOD ha cercato di mischiare la sua incredibile propensione per il racconto e le sue diramazioni con l’action RPG, finendo per non riuscire perfettamente in nessuna delle due cose, ma trovando il giusto modo per metterle in connessione. Errori di gioventù, sicuramente, che in qualche modo confermano che DONTNOD è un team da cui aspettarsi grandi cose in futuro. Vampyr non è il capolavoro che ci saremmo aspettati, ma è un buon gioco che vale la pena giocare, magari semplicemente attendendo la prima offerta utile.