So che hai lavorato molto in Francia, un mercato molto diverso dal nostro, ti va di dirci le differenze?

Cercherò di essere il meno polemico possibile, altrimenti dico cose che non dovrei dire (ride). Allora il mondo del fumetto è cambiato molto da quando ho iniziato, e soprattutto ci sono molte differenze tra il mercato nostrano e quello francese. Ad esempio nel 2002 circa ho fatto un lavoro per gli Umanoidi Associati; prima di iniziare il lavoro mi è arrivato un assegno con un anticipo di circa 9000 euro… fui così scioccato, che contattai l’editore dicendo: “Ma siete matti, ma io non ho consegnato ancora nulla”. Al che l’editore mi rispose semplicemente che gli sembrava giusto dare una forma di anticipo. Chiaramente ora non solo nessuno da più anticipi, ma sono davvero in pochi quelli che ti possono realmente pagare per il lavoro che fai. Diciamo che in Francia c’è un rapporto tra autore e editore un pochino più forte e strutturato, non perché in Italia lettori, autori e editori credano di meno nel fumetto e viceversa, ma più che altro perché in Francia c’è un network non solo di distribuzione ma anche di produzione che nel corso degli anni è rimasto solido laddove in Italia si è invece un po’ perso; non vorrei parlane male ma penso che ad oggi il mercato italiano un po’ trainato dal solo Bonelli come editore principale, soffra un po’ di “vecchiaia” nei modi, nei prodotti, nella progettazione stessa che rende il tutto un po’ troppo stantio, mentre in Francia ci si ritrova all’interno di meccanismi concorrenziali con il resto del mondo, non mi riferisco esclusivamente ai soldi, ai contratti e via dicendo ma proprio anche al tipo di prodotto che viene realizzato. Se lavori in Francia essenzialmente hai uno sguardo rivolto verso il mondo, mentre in media in Italia ti rivolgi quasi esclusivamente a ciò che viene fatto in Italia.

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Consiglieresti quindi ad un giovane fumettista di rivolgersi al mercato estero piuttosto che al mercato italiano. E per esempio se vedi di buon occhio il crowdfunding.

Io non posso non parlarne bene, io ci campo col crowdfunding, o meglio attraverso questo sistema io riesco a realizzare i libri. Tornando alla domanda principale, il consiglio per prima cosa lo darei alle scuole del fumetto italiane e cioè di rivedere un po’ i propri programmi per non andare ad insegnare solamente uno stile italiano, per me il vero problema è che quando un giovane disegnatore vuole imparare a fare questo mestiere, s’iscrive naturalmente ad una scuola di fumetto. E lì trova un programma ed insegnanti che partono dal presupposto che l’unica speranza di lavoro in Italia sia attraverso Bonelli e quindi insegna il “modo” Bonelli. Bisogna partire dal presupposto che il lavoro è anche altro e inoltre bisognerebbe costruire un nuovo modello di lavoro per i fumettisti in Italia. Il consiglio non è necessariamente andare all’estero, il punto è che consiglio ai giovani autori ad imparare a disegnare in modo moderno, guardando gli autori internazionali, avendo anche una sensibilità costruita su un modello italiano (perché comunque i nostri autori sono molto sensibili e capaci); però ciò che ne scaturisce fuori non può ancora essere quello di trent’anni fa, deve essere insomma un tantino più moderno. Il crowdfunding, finito questo ciclo di apprendimento, è uno di quei strumenti utili per realizzare i propri progetti a prescindere dalla realtà professionale del mercato italiano. Non è solo un discorso di soldi, ma anche di alternativa produttiva. Ne parlavo anche stamattina: i grossi produttori (non solo di fumetti) tendono a riciclare i prodotti con remake e reboot, lasciando poco spazio alle nuove IP. Invece bisogna avere il coraggio di creare nuove storie e prodotti e in questo il crowdfunding è l’arma che un giovane autore (o vecchietto come me!) può utilizzare per realizzare idee nuove.

LUMINA, FUMETTO IN CROWDFUNDING SU INDIEGOGO PER TENDERINI E CAVALLINI

Abbiamo intervistato anche Lorenzo Cecotti e ci ha detto quasi la stessa cosa. Ci troviamo in un mercato che va sempre nella stessa direzione e bisognerebbe cambiarlo… nasce anche per questo Lùmina?

Nasce soprattutto per questo Lùmina. Perché dopo quattordici anni che lavoro in questo campo mi ero, non dico stancato della situazione, però ero arrivato in un punto in cui o diventavo un semplice anello della catena produttiv o mi inventavo qualcosa. Io anni fa avevo questo fantomatico studio Tenderini con il quale coloravo il 90% dei fumetti che uscivano in Italia… coloravo di tutto. Era diventato però un meccanismo automatizzato con tante commissioni e lavoro “marchettaro”. Arrivavano le tavole, le coloravo con i miei venti collaboratori ed essenzialmente era una catena di montaggio. Mi sono quindi chiesto o continuo così e faccio i soldi nel senso che ci potevo vivere oppure questa cosa mi sta annoiando e cerco di produrre cose nuove, cambiando così drasticamente il mio lavoro? Alla fine ho cambiato drasticamente il mio lavoro e Lùmina doveva essere ed è il mio manifesto d’intenti ed idee. Il senso è adesso mi metto a fare il mio progetto come lo voglio io, lo spingo ai massimi livelli: quindi aumento la qualità di stampa (pagando anche quattro volte in più rispetto ad una stampa normale) me ne vado addirittura in Macedonia e registro una colonna sonora, più altre cose di cui non posso parlare… il tutto perché questo è uno sfogo mio, rispetto allo stagno che si sta venendo a creare.

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Ci hai accennato alla colonna sonora che accompagnerà Lùmina. Come l’hai scelta e qual è il tuo rapporto con la musica?

In realtà non l’abbiamo scelta… l’abbiamo proprio composta. Ho chiamato Remo Baldi che è un mio amico compositore per l’industria cinematografica e con lui ci siamo innanzitutto detti: ha senso fare una colonna sonora per un fumetto? La risposta è stata immediata: sì! Perché si sta parlando di un racconto per immagini e di un racconto sonoro che va a complemento del racconto per immagini. L’abbiamo costruita immaginandoci quello che era la narrazione estetica che stavo creando, però in formato sonoro. Io ho lasciato ampia libertà a Remo, perché la regola base di chiunque lavori con Lùmina è di avere sempre massima libertà espressiva. Remo ha preso le mie tavole e ci ha costruito sopra un racconto sonoro che alla fine si è rivelato essere perfettamente adiacente rispetto a ciò che avevo in mente io e ciò che le tavole stavano raccontano. Nel momento in cui c’è libertà d’intenti e creativa, si arriva ad un risultato che è comune perché non è corrotto da filtri come marketing, leggi di mercato o da idee per vendere di più. Lùmina l’avevamo già venduto con il crowdfunding, quindi eravamo nella massima tranquillità: facciamo quello che ci piace. E abbiamo avuto un risultato perfettamente corrispondente, dimostrando che questa creatività era da lasciar sfogare.

Su Lùmina, leggo che tu e Linda Cavallini avete usato una tecnica chiamata hyperflat. Ti va di parlarcene?

In realtà è una mia sega mentale (ride). Un nome che ho ripreso da una tecnica pittorica di Murakami, la sua tecnica è superflat, ovvero realizza quadri rappresentando lo stile manga… però in pittura ed utilizzando colori piatti. Io ho creato questo hyperflat perché attraverso la stesura di tinte piatte vado a creare piani di profondità. Si tratta di una tecnica che in realtà stavo elaborando da molti anni e mi permette di creare degli effetti come la sfocatura… insomma quella che nel cinema è la fotografia la applico alle vignette. Nelle tavole di Lùmina non è tutto a fuoco, è a fuoco solo quello che voglio raccontare, tutto il resto è sfocato. Siccome utilizzare il filtro blur di Photoshop mi sembrava troppo semplice, freddo ed automatizzato ho trovato questo modo di ricreare l’effetto manualmente.

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Ci hai parlato di Murakami, hai altri artisti a cui ti sei ispirato?

Penso che tutti i fumettisti dovrebbero rispondere a questa domanda citando Moebius. Lui è un punto di riferimento per tutti. Io amo molto anche Enki Bilal. Mi ha anche scioccato in positivo una situazione vissuta poco tempo fa; una persona in azienda mi si è avvicinata (un potenziale finanziatore, di quelli ricchi e davvero colti) e gli ho mostrato Lùmina, ovviamente non era venuto lì per finanziare lautamente il progetto Lùmina ma era lì in azienda per altre questioni. Insomma ha sfogliato due pagine di Lùmina e ha detto: ci ritrovo Bilal! Ho pensato: porca puttana, per me è da intendere come un complimento! Soprattutto mi ha scioccato che questa persona estranea al progetto ne avesse riconosciuto uno dei riferimenti più intimi e profondi, visto che non sempre cito apertamente Bilal come uno delle mie fonti d’ispirazione.

Puoi darci qualche anticipazione su Lùmina 2?

Lùmina è un progetto vastissimo, che però – ahimè – nella sua vastità, essendo noi in due, dobbiamo gestire con i nostri mezzi e strumenti… insomma non siamo una casa editrice enorme che può coinvolgere diverse persone. Siamo in pochi quindi dobbiamo andare per step molto ponderati e ragionati e, per forza di cose, con tempi un po’ più lunghi rispetto al normale. Il primo numero, sbagliando, l’abbiamo chiamato quasi “prologo” anche se poi la parola è rimasta troppo in testa all’utenza, perché non si tratta di un vero prologo; più che altro abbiamo presentato i personaggi e la situazione generale. Quindi nel secondo numero di quattro, parte ufficialmente l’avventura che avevamo intenzione di raccontare. Quindi per evitare spoiler posso solo dire che nel secondo numero vivremo Lùmina: le avventure, i pericoli, le situazioni e gli eventi che un po’ avevamo presentato solo in linea generale e quindi in questo secondo numero ci addentriamo un po’ più profondamente in quella che è la vera essenza del progetto.

Ci hai detto che è un progetto vastissimo… nel tuo futuro c’è ancora Lùmina o ci sono altri progetti?

Io adesso sto facendo un progetto sui 47 Ronin, che verrà esposto al Museo D’arte Orientale a Torino con il patrocinio del Ministro della Cultura, quindi abbiamo anche progetti collaterali. Il nostro sogno è che Lùmina andasse talmente bene e ciò significa aver guadagnato un pubblico che ci segue tale da poterci permettere di continuare queste avventure anche per molto tempo, è un progetto in cui crediamo molto nel lungo periodo però dovendoci basare sul crowdfunding dobbiamo navigare a vista ed essere molto cauti perché non è detto che riusciamo a progettare chissà quale serialità. Di sicuro i quattro numeri che iniziano e finiscono questa prima stagione li completiamo in un modo o nell’altro, al quarto numero circa tra un paio d’anni per dirti, vediamo se abbiamo raggiunto un risultato tale che ci permetta di avere una serialità più frequente e di alto livello.

Gabriele Atero Di Biase
Diplomato al liceo classico e all'istituto alberghiero, giusto per non farsi mancare niente, Gabriele gioca ai videogiochi da quando Pac-Man era ancora single, e inizia a scriverne poco dopo. Si muove perfettamente a suo agio, nonostante l'imponente mole, anche in campi come serie TV, cinema, libri e musica, e collabora con importanti siti del settore. Mangia schifezze che lo fanno ingrassare, odia il caldo, ama girare per centri commerciali, secondo alcuni è in realtà il mostro di Stranger Things. Lui non conferma né smentisce. Ha un'inspiegabile simpatia per la Sampdoria.