In viaggio con Jojo: Gli eroi che rimangono nei nostri cuori viaggiano a lungo
La crescita e la trasformazione sono qualcosa di inevitabile per noi e per tutto ciò che ci circonda. Col tempo tutto cambia, tutto si trasforma, niente resta immutato. Non è un caso se nei romanzi o addirittura negli antichi racconti dell’epica antica, la maturazione dei personaggi si manifestava tramite il viaggio. È proprio grazie agli eventi e alle peripezie vissute dai personaggi che questi diventano grandi, nel bene o nel male. Il principio della crescita e della mutazione tramite il viaggio non è esclusiva delle grandi storie del passato o delle opere narrative che troviamo in libreria (anche se queste sono ancora oggi grande fonte d’ispirazione ed esempi classici).
Alcuni fra i manga più famosi e conosciuti fanno di questo caposaldo dell’intreccio narrativo il proprio fulcro. Dai manga generazionali come One Piece e Le Bizzarre Avventure di Jojo, fino ad arrivare alla ricerca delle sfere del drago o ai vagabondaggi di Miyamoto Musashi, molti mangaka hanno deciso di improntare le proprie storie sul viaggio, anche se naturalmente ogni opera ne fornisce un’interpretazione differente.
Data la presenza del maestro Hirohiko Araki all’appena passato Lucca Comics and Games di quest’anno, non potevamo che concentrarci sulla sua opera, nella quale seguiamo la famiglia Joestar fin dal 1987.
Il viaggio del terzo Jojo: il carisma e la freddezza di Jotaro
Ne Le Bizzarre Avventure di Jojo, durante le varie serie, i membri della famiglia Joestar si mettono in viaggio per i motivi più disparati: chi per salvare la madre, chi per diventare una “gangstar” o chi per vincere una delle gare ippiche più ambite del mondo. I Joestar sono una dinastia dedita al viaggio e all’avventura, sebbene non tutti maturino e crescano nello stesso modo. Uno dei membri della famiglia più famosi e apprezzati è forse quello che matura nel modo più disomogeneo di sempre: parliamo ovviamente di Jotaro Kujo. La sua crescita sia sotto il punto di vista umano che del suo stand avviene improvvisamente, in determinati momenti cruciali del manga, come la prima comparsa di Star Platinum, la partita con Daniel J. D’Arby, o lo scontro finale con Dio Brando.
Quello che più colpisce nella trasformazione di Jotaro è il modo in cui si affeziona ai suoi compagni, il processo che li porterà a diventare amici. Inizialmente ci troviamo di fronte a un liceale schivo, all’apparenza freddo, tosto e di poche parole; ma i pericoli, i momenti gioiosi, e le lunghe tratte sui mezzi di trasporto, porteranno il Nostro ad aprirsi. Dapprima con dei piccoli sorrisi, dei piccoli gesti, come le strette di mano o gli sguardi d’intesa, per poi culminare con l’abbraccio a Polnareff, prima della partenza del francese, qualcosa che mai ci si sarebbe aspettati di vedere all’inizio. Anche nelle serie successive Jojo si dimostrerà sempre più aperto e disponibile verso il prossimo, sebbene continui a mantenere comunque quel suo aplomb e buona parte della sua freddezza.
L’Achille dei manga
Jotaro è una sorta di Achille: invincibile, non si lascia scalfire dalle provocazioni del nemico, ma mette tutta la sua passione nella lotta, nel confronto, specialmente quando vengono messe in mezzo persone a lui care. Come l’eroe greco, lo studente giapponese sembra distaccato e solitario, apparendo quasi arrogante per la sua conclamata superiorità nei confronti del nemico, rimarcata dal suo atteggiamento insolente verso l’autorità. Non a caso, Jotaro si rivolge in questo modo in primis a sua madre, nonostante sia affezionato a lei in modo incondizionato.
Entrambi attraggono gli altri guerrieri come calamite, grazie al loro carisma e al loro valore: sia Jotaro che Achille dimostrano, durante le loro peripezie, di essere in grado di guidare i propri alleati alla vittoria. Tuttavia, anche il nostro Jojo ha un punto debole, anche se in questo caso non si parla di una parte del corpo ma del senso di protezione che il portatore di stand nutre per i bambini e le donne.
Questo suo aspetto è così forte e radicato in lui, che è disposto a vendicarli o proteggerli da atti efferati e eccessivamente violenti, a prescindere dal fatto che questi siano suoi alleati o nemici. Un esempio è la furia con cui Jotaro vendica Enya, sua acerrima avversaria, quando viene a sapere che è stata trucidata da Steely Dan. Jojo sfoga completamente la sua furia, quasi come Achille quando viene a sapere della morte del suo amico/amante Patroclo.
Un altro Jojo: viaggio, crescita e maturazione di Johnny
Totalmente diverso è invece il discorso per Johnny Joestar, che parte come una delle figure più promettenti nel mondo dei fantini, gonfiandosi il petto d’orgoglio, di presunzione, e dandosi delle arie da spocchioso. A dargli una ridimensionata sarà la sventura, mentre l’incontro con J. Lo Zeppeli sarà il catalizzatore per la sua vera e propria crescita personale. Johnny, al contrario di Jotaro, non si mostra come un individuo freddo e sulle sue, anzi, è proprio la sua curiosità a portarlo sulla strada della maturazione. Sono le sfere di J. Lo e la loro misteriosa rotazione a scuoterlo dal profondo, facendogli intuire che c’è ancora una piccolissima probabilità che egli possa tornare a reggersi in piedi da sé, come in passato. Prima di partire per la Steel Ball Run, Johnny è egoista, partecipa alla corsa che eleggerà la leggenda dell’ippica solo ed esclusivamente per poter tornare a camminare.
La crescita di Johnny è molto diversa da quella di Jotaro: avviene gradualmente, per tappe, proprio come la Steel Ball Run. Il suo rapporto con J. Lo cresce e si rafforza, fino a quando Johnny stesso rivela uno dei suoi segreti a quello che è praticamente diventato il suo migliore amico, il quale, a sua volta, svela al membro della famiglia Joestar il suo vero nome.
Crescere attraverso il dolore
Johnny matura anche attraverso le sconfitte e le perdite, poiché anche lui, come Jotaro, affronta la morte dei suoi cari. La sua reazione di fronte alla morte però cambia col tempo: egli reagisce alle perdite in modo diverso proprio perché dentro di sé è cambiato, è cresciuto. Se da giovanissimo si dispera e pensa che tutto il male e le sventure che gli capitano siano a causa del karma, da adulto si dimostra molto più responsabile e composto, sebbene la perdita lo distrugga emotivamente.
Il fantino paraplegico cambia idea anche riguardo alle motivazioni che lo portano a correre su Slow Dancer. Tappa dopo tappa, quello che lo muove non è solo la volontà di riprendersi la facoltà di camminare, ma anche quella di impedire agli avidi di potere di prendersi i Resti che si è procurato e che ha inseguito insieme a J. Lo per mesi. La sua sofferenza, i suoi sforzi, e le sue strategie, inizialmente frutto della paura, diventano il mezzo che lo porterà a combattere per un bene superiore, qualcosa che va oltre il suo guadagno personale. La sconfitta e la perdita sono elementi che, durante il viaggio, hanno trasformato questo Jojo, un personaggio con evidenti contrasti interiori, in un uomo nuovo, determinato, deciso, e pronto a fare del suo meglio per la giusta causa.
I maestri della rotazione: gli Zeppeli
Il concetto dell’eroe senza macchia, pieno di virtù e pronto alla morte, tipico dell’antichità viene mutato quando ci ritroviamo nel mondo dei manga: i personaggi sono più umani, è più facile coglierli in fallo, è più semplice avere la meglio su di loro. Paradossalmente, è proprio questo il loro punto di forza: la sofferenza contribuisce a farli “cadere nel tunnel”, da cui usciranno molto più forti, più fermi, più saldi nelle loro convinzioni. Parte integrante del viaggio, nella serie di Jojo, è proprio questo: soffrire, sacrificarsi per migliorare. Dal contrasto, dal portare al limite le proprie capacità, dalle lotte senza quartiere, dalle privazioni, si esce migliori, più forti.
Tutti i Jojo passano, chi più chi meno, da queste tappe inevitabili in un viaggio che si rispetti: emblematiche sono la sofferenza di Jonathan quando perde suo padre e la sua casa, la morte di Caesar per Joseph, quelle di Abdul, Iggy e Kakyoin per Jotaro, e così via. Insomma, non si può certo dire che la famiglia Joestar abbia la vita facile, ma è proprio per questo che i suoi membri sono così tosti, duri e forti: perché il loro viaggio personale li ha portati a crescere e maturare, stringendo legami, a volte molto stretti, con altri “viaggiatori”.
Uno degli esempi più evidenti, per le varie generazioni di Joestar, sono gli Zeppeli: ognuno di loro, da Will a J. Lo, ha una forte personalità che ben si amalgama con quella del proprio Jojo di riferimento, divenendone quasi complementari. Will è il maestro di Jonathan, gli insegna le basi della disciplina dell’Onda Concentrica, facendolo crescere sia sotto il piano fisico che umano. Caesar è di fatto il migliore amico di Joseph: sanguigno, testardo, ma uomo di parola e di virtù, egli comincia a nutrire un sentito rispetto e un grande affetto nei confronti di Jojo quando quest’ultimo dimostra a sua volta di avere un forte senso del rispetto e dell’onore. Un po’ diversa è invece la personalità di J. Lo, sempre pronto alla battuta e allo scherzo.
La mente come arma
Gli Zeppeli sono uno dei tanti fattori che spinge i Joestar a mutare e a trasformarsi in meglio, cosa che avviene soprattutto durante le battaglie contro i vampiri/uomini pilastro/stand. Questi non sono altro che nuove prove, nuovi ostacoli da superare per oltrepassare i propri limiti, e in Jojo questo non avviene mai tramite l’uso della forza bruta. Tutti i Joestar hanno una mente acuta, sempre in movimento, mai stagnante su un’idea, proprio come un altro dei celebri viaggiatori dei poemi epici: Ulisse.
Quest’ultimo, infatti, nel suo interminabile viaggio per tornare finalmente a Itaca, non si è mai trovato a fronteggiare avversari od ostacoli ricorrendo alla forza bruta, ma ha sempre preferito fare affidamento sulla sua mente e sulla sua arguzia. Allo stesso modo, Araki ha ideato i vari Jojo ispirandosi all’eroe che lotta contro il pericolo, contro il male, non solo a viso aperto, ma sfruttando al massimo le sue potenzialità intellettive. Ovviamente, ogni componente della famiglia Joestar, come sappiamo, ha un diverso tipo di mentalità, di atteggiamento, e di intelligenza, ma tutti sono capaci di sfruttarla al meglio, gettando il cuore oltre l’ostacolo. Fronteggiare il pericolo sfruttando il cervello è un modo come un altro per scoprire sé stessi, per compiere l’ennesimo viaggio, questa volta dentro il proprio spirito, il proprio essere.
Di una città non apprezzi le sette o settantasette meraviglie, ma la risposta che dà ad una tua domanda
Viaggiare, quindi, vuol dire soffrire, vuol dire imparare, vuol dire rafforzarsi e crescere, mutare, trasformarsi e arricchirsi interiormente. Alla luce di ciò, cosa è la vita se non l’ennesimo viaggio?
Araki, come molti suoi colleghi, vuole raccontarci attraverso un topos letterario quale sia il vero modo di trovare sé stessi, di riscoprirsi e diventare grandi. E qual è il modo più sensato di farlo se non vivere un’avventura unica?