Come un viaggio nella fantasticheria e nella memoria, La vita straordinaria di David Copperfield si apre al pubblico come un racconto stravagante e adorabile
Che la memoria sia il contenitore principale per ciò che ci accade e viviamo fin da quando siamo piccini è conoscenza diffusa e comune. Sono i ricordi che si susseguono nell’avvicendarsi di un’esistenza che deve crescere di pari passo con il proprio corpo, il proprio spirito, mantenendo ben saldi quei particolari che hanno dato un senso a ogni istante del nostro percorso sulla terra e facendo solcare al nostro fianco tutte quelle persone che hanno fatto da bandierine sulla strada solcata per il nostro destino. Gente perduta, gente che ritorna, gente che è stata la folla in mezzo a cui siamo maturati e che abbiamo portato accanto a noi su questo lungo cammino, volontariamente o meno.
Ma si sa, la memoria è anche capace di scherzi stranissimi e di buffi fraintendimenti, di lavorazioni complicate e di rimaneggiamenti fatti a fin di bene, particolari aggiunti o tolti per infarcire meglio quella che è la nostra storia, che scegliamo di raccontare perseguendo l’onestà, ma non riuscendo ad esimerla da un po’ di fantasia.
È quello che La vita straordinaria di David Copperfield fa con e per il suo personaggio principale, è quello che si prefissa per un palcoscenico rimaneggiato e abbellito di un’esistenza piena e ondeggiante come quella del protagonista, che alla sua immaginazione è sempre stato legato, utilizzandola come via di fuga per uno svago che gli permettesse di sopravvivere nei momenti più bassi del proprio vivere, ma che mantenesse concrete le sfortune, le miserie e le speranze che ne hanno segnato le differenti tappe.
È la scrittura, dunque, l’escapismo prediletto dal possessore di mille nomi e un unico volto David Copperfield, di un ragazzo che della magnificenza ha fatto il dono con cui arricchire anche gli istanti peggiori della sua vita, trascrivendola perché nessuno potesse più dimenticarla, rendendola carta e inchiostro concreti per dare modo alla propria facoltà immaginativa di rimanere fissata.
La bizzarra pittura della regia di Armando Iannucci
E se nella memoria tutto diventa baule da cui estrarre le peculiarità più curiose, dove innesti e ibridazioni prendono spunto dal loro stesso mescolarsi, per poi immettersi e contaminarsi a vicenda come una continua scena aperta che affaccia direttamente sul mondo di David Copperfield, così la messinscena di Armando Iannucci si interseca sequenza dopo sequenza giocando di rimandi e di continui ritornelli.
Avanti e indietro senza un confine, senza un perimetro, senza dover mettere alcun freno all’immaginazione non solo del suo protagonista, ma del regista stesso, che nel divertirsi nel seminare tracce di vita in ogni fase e personaggio del suo film, ne fa un’unica grande storia come voleva il suo iniziale scrittore Charles Dickens.
La stravaganza di La vita straordinaria di David Copperfield ha perciò nella stesura teatrale e nella recitazione leziosa e sopraffina un indice della natura gioiosa e irriverente del suo racconto, estremizzando scenografia e drammaturgia così da avvalersi di uno spazio assai più ampio per esprimerne tutta la vitalità di cui l’opera è capace, per una spiccata armonia tra narrazione e suoi interpreti, accadimenti e modo di addobbarli da far del film di Iannucci un vascello che naviga sulle onde della bizzarria.
Fantasticheria che è la pittura medesima dell’adattamento cinematografico a riportare, pennellate pastello e paesaggi dettagliati frutto dell’occhio del regista scozzese, che come un artista dalle mille virtù non si limita alla macchina da presa, ma sembra mettere la propria stessa mano a ritoccare le caratteristiche della tela, facendo delle inquadrature le pagine colorate e lisciate di un libro di delicate e immacolate illustrazioni.
La vita straordinaria di David Copperfield e quel personale album di ricordi
Una matrice letteraria, quella dell’originale dell’inestimabile Dickens, che il film mantiene ai fini di una verbosità che è sempre limata dalla velocità dei dialoghi e dalla notevole quadratura dei suoi attori; assortiti, abili con la parola e con i gesti, personaggi completi perché complete le loro squisitissime performance, segno di un lavoro di assembramento e scambio di personalità che si alimentano e traggono beneficio sia per sé che per gli altri.
Un equilibrio tra classicità e stramberia che sono interpreti centratissimi a trovare, dove se la dolce rudezza di Tilda Swinton e la strisciante inquietudine di Ben Whishaw sono tra i segni predominanti della classe e dell’abilità di questo cast, è nell’adorabilità dello zio Dick di Hugh Laurie a insinuarsi l’intera amorevolezza del film di Armando Iannucci, che ai suoi personaggi vuole bene come se ne vorrebbe a coloro che sono stati da se stessi creati e che trovano nella complicità tra attori e regista una felice conquista di intenti.
Se la traduzione italiana del titolo internazionale ha perso il suo “personal” nel titolo The Personal History of David Copperfield, è proprio nell’essere assolutamente “personale” che la vicenda di David Copperfield arriva al pubblico e al lettore per immagini. Una storia raccontata come se fosse un bambino a ricordarla, per essere poi la mano adulta a metterla in una scaletta ordinata seppur prodigiosamente inventiva.
Una scatola dei ricordi dove il vissuto rimane tutto lì, sullo schermo, come un album di fotografie sconquassato e appena aperto o una favola che qualcuno può aver, forse, veramente passato e a cui ci ritroviamo contenti davanti nel nostro volerci genuinamente credere.