Volt è una serie bimestrale edita da SaldaPress, ideata, scritta e disegnata da The Sparker (alias di Stefano Conte). La serie esce sia in fumetteria che in edicola, in formato manga, ed è la prima a produzione interamente italiana che SaldaPress porta sul mercato.
La storia di questo secondo volume riprende, come ogni serie che si rispetti, dal punto in cui si era interrotta alla fine del primo: Volt, il piccolo robot protagonista, è stato costretto dalla madre (una robot anziana con le fattezze di Darth Vader e chiamata, per l’appunto, “Dark Mother”) a cercarsi un lavoro. Impiegato suo malgrado in una fumetteria, Volt dovrà barcamenarsi con i tanti personaggi che affliggono chiunque si trovi a gestire un rapporto con il pubblico (siano essi impiegati allo sportello delle poste o commessi in un negozio di intimo).
Le avventure del giovane robot sono raccontate ai suoi nipoti da una sua versione anziana, in un unico flashback, strizzando l’occhiolino, per impostazione della scena e modalità di racconto, alla notissima serie TV How I met your mother. Proprio il citazionismo, a volte anche un tantino forzato, è una delle caratteristiche fondamentali di questo fumetto. Ma su questo torneremo più avanti.
Riguardo al volume in questione, la struttura della tavola, le situazioni raccontate e le espressioni dei personaggi sono di chiara ispirazione manga. Molto divertente la caratterizzazione dei vari clienti-tipo della fumetteria, ognuno con le sue piccole fisime: chi pretende di risparmiare a ogni costo, chi cerca proprio quel particolare fumetto senza ricordarne il nome e così via. Il lato comico è dato dalla tipizzazione di questi personaggi come veri e propri mostri, da combattere con tecniche specifiche.
Inoltrandoci nella lettura, dopo le prime gomitate di complicità da parte dell’autore, abbiamo cominciato a storcere un po’ il naso per l’eccessivo citazionismo: non è passata pagina senza che venisse buttato lì un Klaatu, Barada, Nikto, un riferimento alla serie animata dei Ghostbusters, ai film degli anni ’80 e compagnia bella. Tanto per rimanere sul citazionismo, il gioco è bello quando dura poco. La serie ha delle potenzialità, dettate dall’ambientazione, dai personaggi e dall’arrivo di un vero e proprio antagonista, ma proprio tali potenzialità devono ancora essere espresse a dovere. Siamo solo al secondo volume, però, quindi per ora niente di troppo grave.
Molto piacevoli, forse addirittura di più del volume stesso, sono le appendici che si trovano nelle ultime pagine: Che vita di Mecha, ovvero episodi di vita vissuta di impiegati di varie fumetterie d’Italia, in cui si raccontano le manie e le pretese che abbiamo noi lettori e collezionisti; Necronomicon File, ovvero l’analisi degli antagonisti di questo numero, con tanto di caratteristiche e punti deboli; Le 108 arti oscure dell’amore materno, ovvero un paio di tavole sul rapporto madre-figlio; ma soprattutto Il glossario del dottor What, in cui vengono spiegate tutte le citazioni contenuto nell’episodio, a beneficio delle nuove generazioni (il che è un bene perché permette di approfondire qualcosa che ha divertito un nuovo lettore, magari giovane, facendogli scoprire un particolare film, un fumetto o un libro).
Verdetto
Volt si riconferma lettura piacevole e divertente, in cui le avventure del robotico ma sin troppo umano protagonista sono raccontate attraverso continui riferimenti alla cultura cinematografica, letteraria e fumettistica degli ultimi trent’anni. La serie, al secondo volume, deve ancora fare il salto, facendoci innamorare dei suoi personaggi e delle situazioni che propone, ma comunque dimostra di avere tutte le carte in tavola (e un po’ di tempo) per poterlo fare.