Da Warrior Nun su Netflix ci si saremmo aspettati più mosse ninja che giochi di potere tra Chiesa e scienza
Non potrebbe esserci presupposto più trash di quello di Warrior Nun su Netflix: un manipolo di giovani suore, parte di una congrega segreta dedita a salvaguardare il mondo dal male, combatte a suon di arti marziali e lotte corpo a corpo per impedire a demoni infernali di invadere la terra. Poche nozioni che dovrebbero, fin da subito, delineare il comportamento e l’andamento di un prodotto audiovisivo con tali connotati, facendo di queste monache-guerriere l’asse portante della narrazione e sfruttandone gli ossimori battaglieri e omicidi il più possibile.
Non è quello che però, purtroppo, sceglie di prediligere la serie originale di Netflix, che tra una produzione canadese e una spagnola forma un gioco di bilanciamento creativo che si sarebbe voluto ben più incandescente e smoderato.
Anche la premessa iniziale sembra perfettamente in linea con ciò che ci si augurerebbe per delle suore dal cuore devoto e i pugni letali: ferita a morte la leader del gruppo della spada cruciforme, l’Aureola dalla tradizione antica che le permette di ergersi a campionessa di Dio passa per puro destino nelle mani – o meglio ancora, nella schiena – di una giovane appena deceduta, riportata in vita proprio dalla reliquia miracolosa.
Resuscitata, quindi, da una controversa morte, la diciannovenne Ava (Alba Baptista) – dal nome biblico non indifferente – deve accettare i piani che il Signore sembra averle riservato, cercando di andare contro quel potere che, almeno, le ha concesso una seconda chance, ma che la vede vincolata a un ruolo di leadership tra cardinali infedeli e scienziati miscredenti.
Quando le premesse non rispecchiano il contenuto
Scegliendo una via di racconto che si snoda molto più sulla costruzione in sé della storia e non tanto sulla potenza visiva che delle sorelle in tonaca che uccidono demoni e stendono avversari più o meno sovrannaturali avrebbe potuto esercitare, Warrior Nun dell’ideatore Simon Barry va ponendosi in quel Purgatorio dove la retta via è, anche, la meno intraprendente e in cui quella del male non sa esprimere al massimo la propria esaltazione.
Diviso tra concetti che vanno mescolando Dio, l’ambito della scienza, i misteri della Chiesa e quell’eterna lotta che non avrà mai fine tra i poli fisici e quelli metafisici, Warrior Nun su Netflix si fa portatrice ligia di una trama che vorrebbe più corposa e, dunque, più sostenibile, ma il suo eccessivo aggiungere linee narrative molto spesso inconsistenti ne manca completamente l’obiettivo che anche lo spettatore avrebbe voluto.
Una presa di coscienza forse troppo seria quella da parte delle suore, dei personaggi e degli showrunner della produzione internazionale, quasi dimentichi del potenziale cult che sarebbe potuto uscire da una serie come Warrior Nun, cercando di farsi prendere eccessivamente sul serio lì dove, per i temi centrali che vanno componendo il prodotto, sarebbe bastato renderli visivamente iconici per conquistare largo pubblico.
Warrior Nun e quel tempo dilatato prima dell’azione
Poco polso da parte degli scrittori della serie, come si denota fin dalle prime puntate della stagione, troppo diluite come a dover riempire necessariamente quella durata, estendendo di molto la presentazione e descrizione del personaggio principale di Ava e, così, dando l’impressione di non arrivare mai veramente al fulcro della questione.
Una protagonista che, inoltre, proprio a causa di questa sua reiterata descrizione che va occupando eccessivo spazio all’interno del prodotto, sembra consumare tutto quello che ha da dire nel corso degli episodi iniziali, in cui l’ingresso ufficiale nella congrega sembra tardare ad arrivare, facendo di molto calare l’attenzione dello spettatore, che avrebbe preferito fin da subito addentrarsi in quell’universo paranormale/mistico che contribuisce a bilanciare il bene e il male in questo mondo.
Conseguenze di sceneggiatura che vanno ad influire in un ritmo tale che non ci si sarebbe aspettato dal tipo di serie e dal genere che va caratterizzandola, un’andatura che se sincopata e energica avrebbe dato ben più vigore a queste suore-guerriere, quasi costrette al loro piccolo circolo di cui la terra è all’oscuro e che sembrano non voler mostrare troppo nemmeno al loro pubblico.
Il mancato intrattenimento trash di Warrior Nun
Ciò che, quindi, più di tutto va contrariando di una serie come Warrior Nun è tutto quel bagaglio anche, perché no, trash ed eccessivo che avrebbe potuto farne un fenomeno seriale, una produzione che ci si aspettava potesse inserirsi su quella strada abbandonata da Buffy L’Ammazzavampiri e che magari in Ava avrebbe potuto godere di una nuova ammazza-demoni.
Rimanendo neutrale e non conquistando quanto avrebbe potuto, da Warrior Nun ci si potrebbe aspettare una seconda stagione che dovrebbe però, in caso, rivedere le proprie priorità, riassegnando l’Aureola a chi saprebbe trarne un beneficio più tangibile sul piano dell’intrattenimento, cercando di rendere simbolici e irresistibili i suoi personaggi. Più suore con le loro mosse da ninja che intricati giochi di potere: ecco tutto quello che si potrebbe chiedere a una serie come Warrior Nun.