Un’intervista ricca di spunti e prospettive agli autori di Colpo di Stato.
We Are Müesli è uno degli studi di sviluppo italiani dal portfolio più particolare e vario del settore: Wheels of Aurelia, The Great Palermo e Venti Mesi sono solo alcuni dei numerosi e peculiari progetti emersi da questo prolifico e originale studio. Il loro ultimo progetto, l’investigazione giornalistica di Colpo di Stato, si propone di costituire un’ulteriore stimolo per i giocatori e gli interattori delle loro opere, cercando di sfruttare l’impostazione del gioco da tavolo e dell’escape room per stimolare riflessioni e nuove conoscenze sulla storia d’Italia, trattando nello specifico il Golpe Borghese.
Di seguito, trovtre un’intervista ai due autori membri dello studio, Claudia Molinari e Matteo Pozzi.
D: Innanzitutto, grazie per aver accettato quest’intervista! In primis, volete raccontarvi un po’ per i nostri lettori? Chi siete, cosa fate, e perché?
R: Siamo uno studio di design indipendente di Milano focalizzato su giochi narrativi a tema culturale, storico e artistico. Dopo anni di esperienza professionale in diversi campi della comunicazione (graphic e service design nel caso di Claudia, giornalismo e TV nel caso di Matteo, e altro ancora), abbiamo debuttato nei videogiochi nel 2013 con la visual novel (gioco “a scelte multiple”) dedicata al pittore olandese Jheronimus Bosch CAVE! CAVE! DEUS VIDET.
Da allora siamo rimasti, tanto “casualmente” quanto felicemente, coinvolti nella comunità internazionale del gioco indie, oltre che come autori, anche come speaker, docenti di game design e dintorni per vari istituti di Milano, e “promotori di una cultura multidisciplinare, inclusiva e positiva del gioco”. Dietro al nostro strano nome, semplicemente: una penna e una matita.
D: Nella tradizione e nella storia di We Are Müesli, le ambientazioni e i temi storici sono sempre state molto rilevanti, come in Venti Mesi, esperienza sulla resistenza partigiana della Seconda Guerra Mondiale, o in The Great Palermo, racconto interattivo sullo street food e la cultura del capoluogo siciliano. Questa vostra particolarità sembra voler continuare con Colpo di Stato, che racconta eventi e storie della seconda metà del secolo scorso. Come mai questo interesse verso la storia, soprattutto quella italiana?
R: Come diciamo sempre, consideriamo il videogioco un mezzo contemporaneamente popolare e d’avanguardia. Per questa ragione, da una parte abbiamo sempre visto il nostro impegno in questo settore come un’opportunità per noi di raccontare il folklore e la storia italiana, sfruttando proprio la modalità di fruizione “globale” del gioco per portare storie meno conosciute o “con la s minuscola” al di fuori dei nostri confini; dall’altra, quella di contribuire a rendere riconoscibile un game design “all’italiana” – come accade per altri ambiti del design che rendono famosa l’Italia all’estero – è una delle nostre missioni.
Rispetto a Colpo di Stato, siamo sempre stati interessati ai misteri della Storia d’Italia, spesso oggetto di conversazione o di ricerca anche a livello di interesse personale. Vediamo gli Anni Settanta come un momento decisivo per la storia italiana e anche per il nostro presente, che ci tocca in maniera indelebile, specie per noi nati tra il ’77 e l’83 – quella strana “micro generazione” definita degli “Xennials”, più ricca in termini di stimoli culturali con un’infanzia analogica e una tarda adolescenza digitale, ma più povera in termini di opportunità di lavoro e di successo (ma qui stiamo andando OT). In poche parole, parlare della Storia attraverso i giochi diventa per noi da una parte un momento di riflessione, dall’altra invece una forma di “terapia”.
D: Cosa vi ha spinto a uscire dal selciato sicuro, se così possiamo definirlo, del videogioco narrativo, per dedicarvi a una reinterpretazione e rielaborazione del gioco da tavolo e dell’escape room?
R: Chi ci conosce o ha frequentato nostri workshop o presentazioni sa che definiamo la nostra creatività “politeista”. Ovvero, arriviamo da altre discipline creative, e quello di migrare in ambiti sempre nuovi e diversi è un po’ un nostro naturale modus operandi: l’altroieri era il design “tradizionale”, ieri i videogiochi, oggi sono i giochi non-digitali, domani chissà.
Con questo spirito, ispirandoci alle meccaniche degli escape games, abbiamo ideato il progetto Dewey Rooms, un format che propone esperienze di gioco culturale ad alto contenuto narrativo su tematiche letterarie, giornalistiche, storiche, artistiche e di attualità. L’idea è di lavorare a stretto contatto con i luoghi del sapere (archivi, biblioteche, centri culturali e altre istituzioni). I giochi Dewey Rooms includono diversi formati: dal card game cartaceo al videogame, fino all’escape room fisica, al confine con il teatro interattivo.
D: I principi su cui sembra basarsi Colpo di Stato rappresentano in sintesi una prospettiva di game design inversa ai canoni dominanti contemporanei: cooperazione rispetto alla competizione, narrazione rispetto alla progressione, intelligenza rispetto alla reattività (nei videogiochi) e fortuna (nel gioco da tavolo). Come mai queste scelte?
R: Pensiamo che concetti come quello di competizione e, come l’avete definita, di reattività, siano valori sovrastimati nel gioco. Sappiamo che i nostri giochi possono non piacere, proprio perché non seguono canoni dominanti, ma una progettazione paradossalmente più istintiva: ci piace questa storia, crediamo sia importante che la si ricordi o la si conosca, e la raccontiamo con questa meccanica di gioco.
Non ci sono troppi piani economici o di monetizzazione dietro, solo quel minimo di senso di responsabilità e di sostenibilità che occorre, e la volontà di essere orgogliosi di ciò che si fa.
D: Viviamo un contesto storico molto particolare, non solo in Italia ma in tutto l’occidente, in generale, nel mondo. Dal Brasile all’India, molti dei valori considerati fondanti delle società moderne vengono messi in crisi, e il conflitto culturale e sociale è sempre più estremo. In questo contesto, artisti e comunicatori cosa possono fare? Che limiti e che opportunità vivono? Che pressioni subiscono?
R: Questa domanda è molto complessa, perché il nostro percorso è molto diverso da quello di altri artisti, comunicatori o studi di progettazione. Non è una questione di cultura alta vs cultura bassa, ma nel nostro caso, abbiamo sempre cercato di far capire ai nostri interlocutori l’urgenza di creare esperienze di gioco dai contenuti rilevanti.
E’ da quando siamo nati nel 2013 che lavoriamo con musei, fondazioni, istituzioni, in ottica di diffusione di una cultura del gioco inclusiva e positiva, fondata su logiche di cooperazione e circoli virtuosi. Non sono molte le opportunità, bisogna crearsele (onestamente!). Per quanto riguarda le pressioni, il gioco, soprattutto il videogioco, subisce soprattutto in Italia uno schiacciamento dal basso e dall’alto causato dalla scarsa volontà di approfondire questo medium.
Non solo per gli stereotipi che si porta dietro (peraltro fomentati e auto-alimentati da certe nicchie di cosiddetti “hardcore gamers”), ma anche da trend bizzarri e malsani che tendono a trasformare qualsiasi esperienza “un po’ diversa” e “un po’ culturale” in un caso di gamificazione, termine dal quale prendiamo abitualmente le distanze, in quanto riduttivo rispetto alla complessità propria di un’esperienza culturale, che motiva l’utente a giocare solo a suon di martellate di meccaniche competitive (rewards, stelline, leaderboards etc) e non per una volontà di progettare un’esperienza trasformativa che renda il giocatore, a sua volta, “ambasciatore” di un contenuto.
D: A proposito di pressioni: come da vostra tradizione, Colpo di Stato non si propone certo di offrire un’esperienza leggera, ma sembra stimolare domande e affermazioni forti, nette, decise. Come avete cercato di rendere intrigante e stimolante un design basato su eventi così polarizzanti?
R: E’ vero che la storia raccontata da Colpo di Stato non è delle più “leggere”, ma stiamo comunque parlando di un puzzle game in cui si fa investigazione giornalistica su un piano di golpe militare di marca neofascista: per quanto possa sembrare un tema “controverso” con l’aria che tira oggi, ci pare che ci sia poco su cui dividersi.
Chi ha problemi con storie così politiche, evidentemente – come direbbero gli esperti di marketing – non rientra nel nostro target 😀
D: Giulio Garlaschi e Riccardo Lichene sono stati i consulenti, in veste di public historians, per Colpo di Stato. Quanto è stato complesso rendere in chiave ludica le loro fonti e le loro conoscenze?
R: Il lavoro è stato molto complesso, ma è quello il bello. Fare giochi che parlano di fatti realmente accaduti e non solo di fiction, e farli cercando di dare un senso coerente tra contenuto storico e puzzle, è stata una vera sfida, ma in questo senso la collaborazione con due giovani public historians come Giulio e Riccardo è filata via con grande naturalezza e “integrazione”, in un ping pong continuo tra ricerca sul fatto storico e idea di game design: a volte l’una dettava l’altra, a volte il contrario.
D: Il design grafico dell’opera sembra suggerire un incontro molto particolare e originale tra font e tradizioni del giornalismo del secondo novecento e stilizzazioni e minimalismo postmoderni. Se così fosse, come mai queste scelte? Altrimenti, quali sono le fonti e le ispirazioni?
R: La metafora dell’inchiesta giornalistica, anche da un punto di vista stilistico, è il risultato di una domanda specifica a monte di tutto il progetto: chi può essere il giocatore quando il gioco parla di un fatto storico realmente accaduto?
Le varie risposte ci hanno portato a sviluppare altre domande: è giusto porre l’accento su un solo punto di vista? E’ giusto cambiare l’esito di un fatto storico? Possiamo ripercorrere i fatti creando degli enigmi che portano a profondità di conoscenza diverse? Da qui l’idea del reporter con lo scopo di assemblare più o meno bene la propria inchiesta.
E siccome noi nel giornalismo ci crediamo ancora, e non pensiamo che leggere il giornale sia un’attività morta, abbiamo voluto rischiare nel proporre una grafica che per il suo essere così old school diventa quasi audace, che forse delinea un profilo di giocatore più figlio di Twitter che di Facebook, più di Medium che di Instagram.
D: A giudicare dai temi proposti, sembra difficile ragionare su Colpo di Stato nell’ottica tradizionale del “divertimento”. Cosa ne pensate del mantra legato al “fun over all” in relazione al mondo delle esperienze interattive? Le emozioni generate dal medium videoludico sono inesorabilmente legate al concetto di divertimento?
R: Con tutto il rispetto per chi fa sacrosanti giochi con puro fine di intrattenimento, ma se il cinema si fosse fermato agli intenti tecnico-creativi dei suoi primi decenni di vita, oggi vedremmo ancora le comiche in bianco e nero.
Cementificarsi sull’idea che i giochi siano sinonimo di divertimento-punto, e tagliare fuori tutta una serie di sfumature creative interessanti da sviluppare ci pare una concezione del game design di retroguardia, quasi “reazionaria”.
Ecco perché pensiamo che il videogioco sia ancora un mezzo “in via di sviluppo”. In altri media esiste un senso di genere e di gusto più complesso. Di libri ne esistono miliardi e per tutti i gusti, ed è impensabile pretendere che chi legge li abbia letti tutti. Fortunatamente, vediamo nei giochi una recente controtendenza rispetto al “fun over all”, con la nascita di altri generi, anche drammatici, o meditativi, o puramente esperienziali. Troviamo questo un valore aggiunto e non un limite.
D: Sulla pagina Eppela per il crowdfunding dedicato al gioco, avete annunciato che Colpo di Stato sarà solo la prima di tante esperienze dedicate a giochi culturali e narrativi. Potete darci qualche anticipazione?
R: Colpo di Stato deve essere visto come la prima parola che si pone sul tabellone di Scarabeo, dalla quale possono poi nascere, collegate tra loro, tante altre “parole” legate a fatti della Storia italiana – che di suo, purtroppo, è tutto un incastro di scatole cinesi: aprendo il Golpe Borghese ci trovi incastri che arrivano dal Ventennio fino a Piazza Fontana, e da lì ti portano alla Strage di Bologna e ancora più in là.
La riuscita del crowdfunding è fondamentale per sviluppare le altre piste che abbiamo in cantiere. Nell’ambito del citato progetto Dewey Rooms, abbiamo poi un appuntamento ben preciso: a novembre, presso il centro culturale Polo del ‘900 di Torino, terremo la nostra prima escape room dal vivo.
Si intitolerà “Wer Ist Wer”, sarà prodotta nell’ambito delle commemorazioni per il trentennale della Caduta del Muro di Berlino, e la raccontiamo come “una singolare escape room su conformità, non-conformità e paranoia”. Vi aspettiamo tutt* lì!