West of Dead ci porta nel selvaggio west, o meglio, nel suo aldilà
Chi segue la scena indipendente lo sa: di roguelike ne escono a pacchi, soprattutto su Steam. Non che sia un problema per chi è appassionato al genere, ma certamente non è facile emergere in un settore così pieno di competizione. West of Dead è l’ennesima entrata del genere, e cerca di dire la sua proponendo diversi elementi di novità utili a ritagliargli un’identità forte, nonostante alla prova dei fatti il gioco non possa dirsi perfettamente riuscito.
Il problema che ogni roguelike deve risolvere, infatti, è quello di una naturale ripetitività di fondo che deve essere controbilanciata da una ricchezza di situazioni tale da rendere il ripetere all’infinito le stesse azioni negli stessi livelli sempre fresco e stimolante. Quella che può sembrare una contraddizione è in realtà lo spirito stesso del genere, e tanti e tanti titoli sono riusciti nell’intento brillantemente.
West of Dead, invece, risulta davvero troppo ripetitivo e non riesce a offrire un senso di progressione tale da giustificare l’ossessivo ripetersi della stessa formula, nonostante questa sia ludicamente interessante e molto divertente. Ma ci torneremo più avanti.
Il gioco pubblicato da Raw Fury, uno dei publisher indie con il portfolio più interessante, ci mette nei panni di un protagonista che ricorda da vicino Ghost Rider in un aldilà bellissimo da vedere. All’inizio non sappiamo chi siamo e quale missione ci attende, ma in breve i punti inizieranno a riunirsi, e la cornice narrativa nella quale il ciclo di morte e rinascita si ripete inizierà a farsi chiara.
West of Dead cerca infatti di essere un roguelike piuttosto story driven, tratteggiando piuttosto bene il mondo in cui la vicenda trova ambientazione, grazie anche alla voce di Ron Perlman (Sons of Anarchy). Le storie che scopriremo piano piano raccogliendo ricordi, oltre alla storia personale del protagonista William Mason, sono decisamente interessanti, e servono a tratteggiare un selvaggio west crudo e violento.
West of Dead è però ambientato in un misterioso aldilà diviso in zone tipiche proprio del west, popolate sia da fuorilegge che da demoni e mostri, che dovremo esplorare e superare in successione per mettere in atto la vendetta di Mason.
La struttura ludica della nostra missione non è nuova per chi conosce il genere: ci sono una serie di aree da superare generate casualmente di volta in volta, e quando si muore si ricomincia da capo. La progressione è scandita dalla successione dei capitoli e dall’ottenimento di abilità che manterremo anche dopo la morte.
Solo alcune di queste abilità sono legate alla storia, perché altri perk permanenti devono essere acquistati investendo punti Peccato, che è possibile trovare avanzando nel gioco. Tra questi potenziamenti figurano anche nuove armi ottenibili casualmente nei dungeon e fiaschette curative, tra le altre cose. I potenziamenti delle statistiche del personaggio invece non vengono portati tra una partita e l’altra, obbligando a trovare a ogni partita i vari altari utili a potenziare, a scelta, salute, forza d’attacco o potenza degli oggetti.
Il problema è però che non si riesce mai ad avere un vero senso di progressione, e la limitata quantità di oggetti rende le run sempre troppo simili a loro stesse, fino al punto in cui si corre attraverso le prime aree ignorando totalmente i nemici con il solo obiettivo di trovare le zone di potenziamento per poi scappare dal livello.
Ripetere queste prime zone è tedioso per diversi motivi, il primo dei quali è appunto che la limitata quantità di oggetti ottenibili obbliga a giocare sempre nello stesso modo, senza creare la necessità di adattarsi ai nuovi oggetti cercando di capire come ottenere il meglio da quello che la fortuna ci ha concesso.
Questo si unisce alla necessità di giocare i primi livelli sempre come fosse la prima volta, non potendo trasportare con noi i potenziamenti alle statistiche ottenuti. Infine, e non si tratta di un difetto in senso stretto quanto di un problema di funzionamento all’interno della più ampia struttura del gioco, West of Dead è estremamente lento.
West of Dead è nelle fondamenta un twin stick shooter. Non è però uno di quei giochi frenetici in cui si fluttua tra i proiettili abbattendo decine di nemici. Non è un gioco tanto basato sulle capacità nell’azione, quanto un titolo molto strategico nell’approccio agli scontri.
Un classico sistema di copertura è alla base dei combattimenti, e a questo si somma un interessante utilizzo della luce: i nemici che non sono visibili perché al buio non possono essere lockati ed è molto difficile mirare manualmente (a conferma dell’anima più strategica e meno shooter del gioco), ma possono essere storditi e diventare facili bersagli accendo una delle lanterne sparse per le mappe.
Gli scontri diventano così degli stalli in cui si aspetta il momento opportuno per uscire dalla copertura e accendere le luci per guadagnare vantaggio, preferibilmente in modo rapido perché ognuna di queste coperture può essere distrutta dopo aver ricevuto alcuni colpi. Tutto ciò evitando i nemici che invece di sparare cercano di stanarci, non rendendo mai sicuro stare fermi per troppo tempo.
Il sistema funziona benissimo, ed è estremamente divertente approcciarsi ai nuovi nemici e ai loro nuovi stili di attacco area dopo area. Il problema nasce quando bisogna ripetere per l’ennesima volta la medesima area, con gli stessi identici ritmi con cui la si è affrontata la prima volta, più forti soltanto della la maturata esperienza del giocatore e un po’ più sconsiderati perché in possesso di fiaschette curative che sappiamo si ricaricheranno tra un livello e l’altro.
Sul lungo periodo infatti il lento ritmo degli scontri si scontra con la poca varietà e l’eccessiva ripetizione, facendo sopraggiungere la noia.
È veramente un peccato, perché il sistema di combattimento funziona benissimo ed è soddisfacente, e sotto ci sono una storia e un immaginario molto interessanti.
Soprattutto, West of Dead ha una direzione artistica incredibile che riporta fortemente alle tinte di Hellboy di Mignola. Non spenderò parole su questo, vi basta buttare un occhio sugli screenshot e sul trailer che corredano questo articolo per rendervene conto. È però molto interessante notare come i neri assoluti che compongono le zone d’ombra dove si celano i nemici hanno anche un ruolo nel gameplay del gioco, e che grazie a questi i nemici in ombra li potrete scorgere soltanto seguendo la provenienza dei colpi e poi affidandovi agli effetti audio del gioco per capire se il colpo è andato a segno.
Un gioco interessante, quindi, questo West of Dead, che però non riesce a esprimere tutto il suo potenziale per alcuni limiti di design che lo rendono appetibile solo a chi ha un’alta tolleranza alla ripetizione, o a chi è così innamorato dello stile artistico da volergli dare una chance. Probabilmente non ve ne pentirete del tutto, ma vi rimarrà l’amaro in bocca di quello che avrebbe potuto essere.