What the Golf? prende il golf come base per costruire un puzzle incredibilmente divertente e profondo.
Vi piacciono i giochi di golf? A me no, e ammetto che per questo motivo snobbai What the golf? quando venne lanciato su PC. Nonostante fosse evidente che non si trattava in senso stretto di un gioco di golf, immaginavo che in fondo la meccanica portante sarebbe stata sempre la stessa dei simulatori, e quindi credetti che il gioco mi avrebbe annoiato dopo poco. Mi sbagliavo enormemente, non riuscendo ad immaginare quello che gli sviluppatori erano riusciti a costruire attorno al semplice “mandare una palla in buca”.
What the golf? è infatti un gioco che spiazza in continuazione, in un vortice di umorismo sopra le righe, citazioni e forzature della meccanica di base in grado di renderlo sempre fresco e nuovo, assolutamente mai banale e costantemente in grado di stupire e strappare una risata per come sono state adattate, ad esempio, le peculiarità di Superhot a un gioco di questo tipo.
L’obiettivo è sempre lo stesso: mandare in buca la pallina. Ma alle buche spesso si muovono, e le palline non sono sempre palline. Se questa è la struttura dei livelli di base, ogni buca presenta sempre tre sfide di difficoltà crescente, che obbligano a volte ad andare in buca con un numero specifico di tiri, e altre volte cambiano totalmente le carte in tavola proponendo obiettivi folli.
In fondo What the golf ? è tutto qui, in queste semplici meccaniche declinate in modi diversi. Quello che stupisce è però la ricchezza delle declinazioni stesse, che spaziano dal citazionismo di grandi successi indie e non all’utilizzo della prima persona e del motion control di Switch per orientare la pallina. L’idea che mi sono fatto è che gli sviluppatori si sono divertiti tantissimo nel pensare a ogni modo di sviluppare una meccanica di base semplicissima, ma anche che siano stati estremamente abili nel dosare le novità e nello stressare le varie intuizioni.
Se mi è permesso un paragone all’apparenza azzardato con un altro puzzle, questa volta dalle tematiche molto più pregne, è lo stesso discorso che si potrebbe applicare a The Witness: l’autore Jonathan Blow costruisce l’intero gioco attorno al semplice concetto di labirinto, modificandolo e sviluppandolo in modi impensabili, riuscendo a costruire meccaniche di gameplay estremamente innovative attorno a un classico gioco da cruciverba. Blow sa perfettamente quando fermarsi, quando l’ennesima ripetizione dell’ennesima rilettura del labirinto potrebbe venire a noia, o rischierebbe di non aggiungere nulla di veramente innovativo al labirinto precedente. In quel momento preciso il gioco si trasforma di nuovo, non approfondisce più uno spunto ormai esausto, ma ne va a cercare uno nuovo.
Allo stesso modo What the golf?, che sempre un grande calderone di spunti è, non insiste più di tanto sulle stesse idee, ma le esaurisce e passa a quelle successive, schivando così interamente la noia o il senso di ripetitività che è tipico del genere puzzle.
A fare da impalcatura al gioco c’è un impianto umoristico brillante, “scemo” nel senso positivo del termine, che gioca sulla costruzione di un immaginario specifico estremamente nonsense ma comunque coerente a se stesso, perdendosi nelle già viste citazioni ma anche nella cultura di internet, trovando alla fine un’identità forte e definita.
Chiudiamo dicendo l’ovvio: What the golf? è un gioco perfetto su Nintendo Switch. Uno di quelli da tenere sempre installati per una partitina veloce quando si è sull’autobus, ma perfetto anche per la possibilità di staccare i joy-con per avviare una veloce partita in due persone.
I puzzle game hanno conosciuto un’ottima seconda vita grazie al mercato indipendente, e negli ultimi anni abbiamo avuto il piacere di mettere le mani sulle idee più improbabili e geniali. Ne sono la prova grandi puzzle contemporanei come il già citato The Witness, o The Talos principle, ma anche esperimenti più peculiari come il recente Baba is you. What the Golf? ricade assolutamente in questa categoria di giochi che certamente ricorderemo negli anni a venire. Costa anche poco, che è sempre un bene!