La nostalgia di un grande classico

Se dici “Wonder Boy” a chiunque abbia meno di una trentina d’anni, probabilmente questo ti guarderà con una faccia un po’ perplessa, domandandosi se tu non gli stia facendo un complimento o, se ti dice bene, interrogandosi se tu non ti stia riferendo a qualche versione di un ben noto personaggio DC Comics. Se però il tizio trent’anni suonati ce li ha, e se meglio ancora è stato un appassionato dell’epoca 8 bit (e non solo), allora finirete sicuramente a parlare per ore di quanto bella fosse la serie che Sega portò sulle sue console ad opera degli ormai defunti ragazzi di Escape (o Weston che dir si voglia). Wonder Boy è stato un caposaldo del videogame. Punto, non serve aggiungere altro. Un caposaldo dalla vita un po’ particolare e, per certi versi, sfortunata. Persosi negli inghippi di diverse grane relative alla licenza, si tratta certamente del gioco con le più pregevoli (e “legali”) emulazioni, tanto da aver dato persino i natali ad una serie praticamente copiata, ma comunque fighissima, sul mai dimenticato GameBoy (per la cronaca: Adventure Island di Hudson). Creato da Ryuichi Nishizawa, Wonder Boy oggi ritorna, dopo un lungo oblio (era il 1991 quando usciva Wonder Boy V), portando con sé il suo creatore che insieme al team di DotEmu ed a quello di LazardCube ha rimesso a lustro uno dei capitoli più belli ed apprezzati: The Dragon’s Trap, in un misto di nostalgia e ammodernamento, che riporta in auge un titolo che ha fatto la storia dell’era Master System, e qui rimesso a nuovo con una grafica sfiziosa e pulita che tuttavia non modifica in nessun aspetto la giocabilità originale del gioco.

Wonder Game

Era il 1986 quando Sega lanciava sul mercato il nuovo brand con cui tentava di sfondare nel mondo dei platform casalinghi. In realtà, come da tradizione per la casa nipponica, Wonder Boy non nasceva espressamente per Master System o affini, e come tanti suoi fratelli venne ripreso dai cabinati per essere poi trasportato su console. Negli anni sono innumerevoli le console sul quale il gioco uscì, dall’SG-1000 allo ZX-Spectrum, passando ovviamente per Commodore 64. Wonder Boy in effetti ha avuto una larga fortuna nelle case di tutto il mondo, ed a ciò si deve certamente l’illuminato genio del suo creatore, il succitato Ryuichi Nishizawa, praticamente unico nome oggi “noto” del team che al gioco diede i natali: Escape. Quella di Wonder Boy, tra le altre, fu anche una storia di licenze particolarmente travagliata, che permise però al gioco di essere conosciuto, con nomi alterni, in gran parte del pianeta. Per motivi mai del tutto chiari, Escape si tenne infatti i diritti del gioco, o meglio del suo concept e del suo gameplay. Sega (e più tardi Activision) si tenne invece i diritti sul nome, sui personaggi e sui nemici, portando Escape ad emulare più tardi sé stessa, grazie in particolare ad Hudson, con la creazione su Game Boy dell’arci apprezzata serie di Adventure Island. Non solo, la timeline di Wonder Boy fu ben presto sconquassata, sconvolta. Sarà per i cloni, o per la semplice voglia di sperimentare, sta di fatto che Nishizawa cambiò completamente la filosofia del suo gioco, quando questo venne fuori su Master System 1 e 2 con un sequel diretto.

Wonder Boy: The Dragon's Trap Recensione

Nel 1987 nasce così Wonder Boy In Monster Land, seconda avventura del piccolo ragazzo meraviglia (Tom Tom) il cui concept andava a stravolgere quello che era, tutto sommato, un platform side scrolling molto classico, ambientato nell’età della pietra. Con Monster Land le cose cambiano, il gioco fa una sorta di salto temporale in avanti e dalla preistoria (che verrà poi mantenuta saldamente dalla serie Adventure Island) si passa ad un medioevo fantasy dal sapore alla D&D. Il gioco stesso muta nel gameplay e dal platform si ibrida con meccaniche adventure e più propriamente GDR, con tanto di equipaggiamenti, NPG e compravendite varie. Neanche a dirlo è un successo e da qui in poi nasce il filone “Monster World”, che è e contemporaneamente non è parte della serie Wonder Boy. Succede in pratica che la serie prende due nomenclature diverse. La prima e originale “Wonder Boy” e la seconda “Monster World”. Sicché alcuni giochi fanno parte solo del primo filone, altri solo del secondo, i più di entrambi. Le serie insieme tirano fuori 5 giochi in totale, più una marea di porting e cloni vari che, a seconda del paese, richiamano o spesso modificano il nome e certe caratteristiche degli sprite per aggirare diritti di copyright, o semplicemente per rendere più appetibile il gioco ad una fascia diversa di giocatori. Emblema in tal senso è “Revenge of Drancon”, nulla più che una edizione alternativa dell’originale Wonder Boy che uscì su Game Gear (la mai dimenticata portatile Sega), facendo sì che nella stessa “casa” Wonder Boy avesse due nomi diversi su due piattaforme diverse.

Di quella che è la cronistoria di Wonder Boy e del Monster World vi parlerò, se mai vi andasse, in altri lidi. Quel che qui dovete sapere è che The Dragon’s Trap è il penultimo gioco della serie Wonder Boy e che è considerato, assieme al suo predecessore, uno dei più bei titoli dell’era 8 bit, nonché uno dei best della libreria Master System. A ragion veduta. Con la sua miscela di piattaforme, avventura, draghi e cappa e spada, questi due titoli si ritagliarono una fetta consistente di fan, gettando le basi per l’ibridazione ruolistica che oggi va tanto di moda e che a ben vedere Escape, Sega e compagni attuarono con successo ormai 30 anni fa.

Il punto è che 30 anni non sono pochi, e c’era un pericolo sostanzioso che l’intero progetto “remake” qui in analisi ne venisse fuori come una porcata assurda, o peggio come mera manovra nostalgica e spilla denaro (guardatevi attorno: quante “collection” 8 bit sono uscite negli ultimi 3 anni?). E invece, il primo e fondamentale pregio di questa edizione di Wonder Boy: The Dragon’s Trap è certamente il rispetto che il team ha mostrato nei confronti del gioco originale di cui questo Dragon Trap, più che un remake tipicamente inteso è più una sorta di “reskin”. Le uniche introduzioni sono la possibilità di selezionare un livello di difficoltà con cui affrontare l’avventura, e la possibilità di selezionare un personaggio femminile con cui giocare (piccola finezza, quasi una mezza citazione). Per il resto siamo dinanzi al vecchio e granitico Dragon’s Trap, con “semplicemente” una nuova veste grafica ad impreziosire il tutto. Le virgolette sono d’obbligo, perché il lavoro svolto da DotEmu ha dalla sua uno stile ed una grazia a dir poco encomiabili. Fondamentalmente il gioco è identico alle origini. Stanze, gameplay, nemici e boss sono tutti al loro posto. Il gameplay è dunque sempre, e ancora una volta, quel misto gradevole e mai demodé di platform esplorazione e GDR, secondo quel canone che il brand aveva incollato su di sé ai tempi di un altro intramontabile capolavoro: Monster Land. Per il resto, è lo stesso Dragon’s Trap di quasi 30 anni fa, e come tale riprende persino nella trama il viaggio del nostro coraggioso eroe.

Wonder Boy: The Dragon's Trap Recensione

Wonder Story

Sequel di Wonder Boy in Moster Land, Dragon’s Trap riprende esattamente dal finale di quest’ultimo le redini della narrazione. Arrivati nell’ultimo dungeon e sconfitto il Drago Meka, da questi verremo infine maledetti, costretti a trasformarci in un goffo e disarmato lucertolone antromorfo. Da qui il nostro “Ragazzo Meraviglia” intraprenderà un viaggio per i luoghi di Monster Land, tutti caratterizzati da un tema secondo quello che era lo schema (bellissimo) dei platform della vecchissima scuola. Dragon’s Trap non si fa mancare nulla, e tra fiumi di lava, spiagge assolate e città dal fascino nipponico, ci farà intraprendere un viaggio divertente e incantato, ancor più impreziosito dalla nuova e scintillante veste grafica. Alla fine di ogni area incontreremo poi il consueto boss, chiuso come da canone in una stanza senza scappatoie, che all’abbattimento darà un nuovo volto alla nostra maledizione trasformandoci in una nuova creatura antropomorfa con altre abilità ed altre debolezze. Lo sblocco di una creatura, e il conseguente ottenimento delle relative abilità, ci permetterà di accedere ad una nuova area (o semplicemente di superare un ostacolo in un’area già nota). E così via, verso una nuova area, verso l’ottenimento di un nuovo pezzo di equipaggiamento. The Dragon’s Trap scorre via che è una meraviglia, il che è una piccola sorpresa considerando gli anni che il gameplay si porta sulle spalle, e l’assoluta aderenza dello stesso alla sua formula originale. Non ci sono stati bilanciamenti nei movimenti, nei salti o nell’affrontare i nemici, il gioco è in tutto e per tutto identico all’originale, come potrete anche costatare da soli tentando di giocarci con il “filtro 8 bit” che altro non fa che riportare il gioco al suo aspetto così come uscì su Master System. È ancora, come all’epoca, un gioco di memoria e pazienza, che obbliga il giocatore a ricordare la posizione di luoghi e segreti, obbligandolo a lunghe sessioni di backtracking, e ovviamente ad occasionali smarrimenti. In tal senso, si tratta di un gioco che nonostante la bellezza e lo charme tecnico, nella sua matrice fondamentale potrebbe destare qualche fastidio ai meno avvezzi, o comunque ai giocatori di primo pelo. The Dragon’s Trap è infatti, e in tutto e per tutto, un gioco del 1989, e ne riprende ogni legnosità, ogni inciampo e ogni incertezza.

Il comparto “ruolistico”, ad esempio, è ovviamente una bozza, e non è in grado di competere con alcun titolo odierno anche solo vagamente simile. È un’ovvietà dire che Wonder Boy era avanti nel 1989 e indietro nel 2017, ma se superate questo piccolo scoglio, se cioè riuscite ad entrare nel mood di trovarvi di fronte ad una gloria passata che si è semplicemente rimessa in ghingheri, possiamo garantirvi che l’acquisto non vi troverà delusi. È sorprendente infatti come nel suo piccolo, The Dragon’s Trap sia ancora godibile e per certi versi “fresco”. Complice è certamente la veste grafica completamente rimessa a nuovo sotto ogni punto di vista, ma la verità è che il concept di Nishizawa  ha fatto semplicemente scuola e non è un caso se Wonder Boy sia considerato una delle pietre miliari dei tempi che furono.

Wonder Graphic

Se dal punto di vista puramente ludico non ci sono, come avrete capito, grosse variabili, dal punto di vista grafico siamo dinanzi ad una vera e propria rivoluzione. LizardCube è il team che si è occupato della veste grafica, e lasciate che vi si dica che raramente abbiamo visto un lavoro tanto accurato, raffinato e certosino per una riedizione, o remake che dir si voglia. Il gioco non è stato semplicemente aggiornato o smussato, ma completamente ridisegnato per adeguarlo ad uno spirito quanto mai moderno e accattivante. Non parliamo semplicemente di una ricostruzione/rielaborazione dei personaggi, ma di un lavoro a dir poco sopraffino per quanto concerne colorazione, sfondi e animazioni, con queste ultime che vanno a coprire quello che era un ovvio vuoto dell’epoca 8 bit. Non ci sono mezzi termini: The Dragon’s Trap è semplicemente bellissimo, con i suoi colori talvolta sgargianti ed iper saturi, altre volte morbidi e pastellati, ad incorniciare scenari variegati e ammalianti, in cui il nostro antropomorfo protagonista andrà di volta in volta destreggiarsi. Non c’è, in tal senso, alcun passo falso. La veste grafica è semplicemente perfetta sotto ogni aspetto, ed è semplicemente una gioia muoversi, saltare anche solo esplorare in compagnia del nostro “meraviglioso” eroe. L’estetica del gioco è pulita, ricchissima, semplicemente “esagerata” se si considera il materiale di partenza, tale che da sola varrebbe di per sé il prezzo del gioco se non ci fosse alle spalle il lungo discorso “storico” che, annesso, praticamente vi obbligherà all’acquisto.

Wonder Boy: The Dragon's Trap Recensione

Verdetto

Wonder Boy: The Dragon’s Trap è la migliore occasione che avete per fare un tuffo nel 1989 e recuperare un pezzo di storia del videogame. Più di uno, se consideriamo che si parla di uno dei migliori capitoli di una delle migliori serie di Sega, in quelli che erano anni in cui c’era tutto un altro significato per il termine “console war”, ed in cui Sega, ben prima del fallimento Dreamcast , aveva ancora i piedi ben saldi nel mercato hardware. Per voi sarà una sorta di lezione di storia, un recupero scolastico, adoperato da un team che non ha scelto la strada facile della riedizione per fare denaro, ma ha optato per la ricostruzione di un classico sicché, forse, insegnarvi un po’ di storia potrebbe essere davvero il senso ultimo di questa uscita. Per me, per te lettore attempato che conservi il Master System 2 ancora in soffitta (con i suoi maledetti D-Pad farlocchi), Wonder Boy: The Dragon’s Trap è semplicemente un viaggio indietro nel tempo. Un piccolo ricordo felice, arricchito da un lavoro sapiente e competente che ha tirato fuori il meglio di un gioco che, come noi, ha sulle spalle ormai i suoi 30 anni di gloria. Cose così scalfirebbero qualunque cuore di pietra. Persino il mio.