Wonder Woman 1984: waiting for Gadot 2.0

Attento a ciò che desideri, perché potresti ottenerlo. Recita così uno dei numerosi e celebri aforismi attribuiti ad Oscar Wilde, poi ultra abusato tra cinema e letteratura, e che in un certo senso sembra fatto apposta per descrivere il core di Wonder Woman 1984.

Quel che è sicuro è che noi abbiamo desiderato a lungo l’uscita di questo film – e di tanti altri – nelle sale, ma la pandemia non vuole darci tregua ed allora per WW 1984 in Italia non c’è alternativa che la distribuzione sulle piattaforme digitali, sulle quali potete trovarlo dal 12 febbraio 2021.

Ma torniamo a noi, e facciamo un passo indietro. Eravamo rimasti al primo capitolo delle avventure della super eroina Diana Prince (guai a chiamarla Wonder Woman), ambientate nel bel mezzo della Prima Guerra Mondiale, in quella Londra del 1918 pervasa da tinte cupe e grigie, marchio di fabbrica delle atmosfere DCEU. A onor del vero il film di Patty Jenkins ci aveva accolto con tutt’altri presupposti, regalandoci un impatto visivo disarmante fatto degli sgargianti e accesi colori dell’isola di Themyscira, con quel verde pastello in grado di riempirci gli occhi e gli incantevoli paesaggi a picco sul mare cristallino.

È allo stesso modo che ci dà il bentornati la Jenkins, portandoci di nuovo sull’isola delle Amazzoni, quando una Diana ancora bambina (Lilly Aspell) sfida senza paura ragazze ben più grandi di lei nei giochi annuali, in una gara fatta di corsa, resistenza, tiro con l’arco e cavalcata, ma in cui servono soprattutto lucidità, coraggio e onestà. Non si può vincere barando e infrangendo le regole: questo è il primo grande insegnamento che Diana apprende da Antiope (Robin Wright) e che le serve per diventare la super eroina dagli spiccati valori morali che tutti conosciamo.

E così, sempre come accaduto nel primo film, anche il sequel di Wonder Woman ci porta avanti nel tempo ma stavolta le tinte dark sembrano bandite: veniamo infatti catapultati nei coloratissimi anni Ottanta, precisamente nel 1984 fatto di sneaker, marsupi allacciati in vita, giacche con le maniche arrotolate ma soprattutto una guerra nucleare che sembra a un passo.

L’invidia è una brutta bestia

wonder woman 1984

Qui, nell’America di Ronald Reagan, Diana Prince pare aver trovato una sua pacifica e tutto sommato serena collocazione, lavorando come archeologa al museo Smithsonian, sebbene il suo desiderio recondito ma teoricamente impossibile sia quello di riabbracciare l’amato Steve (Chris Pine). Per chi non la conosce e la giudica dalle apparenze, dalla sua bellezza disarmante e dal look sempre impeccabile, tuttavia, la vita di Diana appare semplice e invidiabile, e così la sua nuova collega nerd, la gemmologa Barbara Minerva (Kristen Wiig) vorrebbe tanto essere come lei e le invidia il modo in cui riesce a camminare con destrezza e nonchalance su quei Cheetah high heels, i tacchi alti ghepardati, primo monito di quel che avverrà.

E poi c’è Maxwell Lord (Pedro Pascal), un piccolo imprenditore petrolifero che ci viene presentato attraverso uno spot televisivo, in cui vende il suo brand nel modo pomposo e macchiettistico tipico di alcune delle pubblicità degli anni ’80, ma Lord è così anche fuori dal piccolo schermo. Egli sogna di ottenere tutto quello che non ha mai avuto a causa di un’infanzia e un’adolescenza difficile. È il rovescio della medaglia dell’American Dream, e il mondo smisurato e sprezzante che la regista ci presenta in pochi minuti come una sorta di trailer di un periodo patinato e senza freni, è l’habitat perfetto per far nascere villain come Maxwell Lord. E come Cheetah.

wonder woman 1984

Se il primo Wonder Woman puntava molto sul parallelismo uomo-donna, con la rappresentazione pura e incontaminata di Themyscira a cui faceva da contraltare il mondo dominato politicamente dagli uomini ed alveare di nefandezze e crudeltà, qui – nel 1984il male sembra aver contagiato tutti, senza distinzioni di sesso, e ne sono una prova il gruppo di ragazzine che rubano all’interno di un negozio in un centro commerciale, mentre pochi istanti dopo è una gang criminale di uomini a rapinare una gioielleria. Allo stesso modo, se Maxwell Lord è la rappresentazione dell’uomo che si lascia dominare dai desideri impuri e dalla voglia di governare il mondo a qualunque costo, Barbara Minerva non è da meno e il suo desiderio di diventare una predatrice alpha annichilisce tutti i suoi sentimenti positivi, trascinandola in una spirale di oscurità.

Chi, come sempre, rappresenta la purezza estrema e i sani principi è Diana, ancora una volta salvatrice dell’umanità grazie allo strumento più semplice: la verità.
“Non si può avere tutto, puoi solo avere la verità. E la verità è bellissima”.
Una lezioncina che sinceramente ormai ci saremmo evitati volentieri, perché sebbene la razza umana sembri riuscire a fare a meno sempre più di determinati valori cedendo alle più subdole tentazioni, riconosciamo altrettanto a malincuore che non è certo l’ennesimo film ricolmo di un’etica da quattro soldi a cambiare le cose.

wonder woman 1984

È proprio questo – il fulcro di Wonder Woman 1984 – l’aspetto meno riuscito dell’opera, perché capiamo da subito dove la Jenkins voglia andare a parare e non possiamo certo dire di rimanerne esaltati. Il problema però è che anche la confezione intorno al pacco non cattura del tutto l’occhio, pur limando alcuni difetti dell’opera precedente.

Tra le migliorie c’è innanzitutto il ritmo, che stavolta è assai più serrato e rende scorrevole una durata altrimenti proibitiva, di due ore e trenta minuti: la prima parte – anche stavolta come nel film del 2017 – è più coinvolgente e quell’impatto visivo che avevamo avuto con la presentazione di Themyscira lo abbiamo con l’America degli anni Ottanta, mentre nella seconda tutto diventa più prevedibile ma non cala l’intensità della narrazione, complice anche l’interessante sviluppo del personaggio di Barbara, interpretata abilmente da Kristen Wiig, sebbene forse – al netto della durata di cui sopra – il mutamento appare troppo rapido per essere del tutto convincente.
Di Gal Gadot invece non si può mai parlare male. La corsa meccanica o una monoespressività routinaria spezzata soltanto da un pianto sporadico passano in secondo piano di fronte allo spessore di un personaggio che incanta lo spettatore, sia in abiti da supereroina che in un bellissimo vestito da sera. Ed è impossibile non apprezzare Wonder Womanops Diana Prince – soprattutto nei combattimenti (che ovviamente avremmo voluto vedere al cinema).

Con la Gadot sempre protagonista, ne assistiamo ad alcuni veramente divertenti, come il primo fantastico episodio del centro commerciale, o quando ci spostiamo al Cairo e vediamo camion volare via lanciati in aria dal lazo della verità. O ancora all’interno della Casa Bianca, con i muri che crollano sotto i colpi dei duellanti (e in cui ognuno è libero di vederci o meno riferimenti politici).
Senza dubbio però, rispetto al primo film, c’è meno possibilità per Diana & co. di muoversi in spazi aperti e gli scontri e la loro estetica non ne traggono il massimo beneficio, sebbene tutto ci sembri più bello se accarezzato dalle note di Hans Zimmer.

Ma Wonder Woman 1984 deve e vuole essere molto più di questo e il tanto osannato elogio della verità è la dimostrazione delle reali intenzioni della Jenkins, che si perdono tuttavia tra le pieghe di un’opera dall’andamento prevedibile e ben più leggera e di entertainment di quanto vorrebbe.
Non è un brutto film, ma se alle due ore e trenta del primo ne aggiungiamo altrettante sempre legati soltanto al lazo della verità, ci si stanca anche se a tenerlo stretto è Gal Gadot.

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Tiziano Costantini
Nato e cresciuto a Roma, sono il Vice Direttore di Stay Nerd, di cui faccio parte quasi dalla sua fondazione. Sono giornalista pubblicista dal 2009 e mi sono laureato in Lettere moderne nel 2011, resistendo alla tentazione di fare come Brad Pitt e abbandonare tutto a pochi esami dalla fine, per andare a fare l'uomo-sandwich a Los Angeles. È anche il motivo per cui non ho avuto la sua stessa carriera. Ho iniziato a fare della passione per la scrittura una professione già dai tempi dell'Università, passando da riviste online, a lavorare per redazioni ministeriali, fino a qui: Stay Nerd. Da poco tempo mi occupo anche della comunicazione di un Dipartimento ASL. Oltre al cinema e a Scarlett Johansson, amo il calcio, l'Inghilterra, la musica britpop, Christopher Nolan, la malinconia dei film coreani (ma pure la malinconia e basta), i Castelli Romani, Francesco Totti, la pizza e soprattutto la carbonara. I miei film preferiti sono: C'era una volta in America, La dolce vita, Inception, Dunkirk, The Prestige, Time di Kim Ki-Duk, Fight Club, Papillon (quello vero), Arancia Meccanica, Coffee and cigarettes, e adesso smetto sennò non mi fermo più. Nel tempo libero sono il sosia ufficiale di Ryan Gosling, grazie ad una somiglianza che continuano inspiegabilmente a vedere tutti tranne mia madre e le mie ex ragazze. Per fortuna mia moglie sì, ma credo soltanto perché voglia assecondare la mia pazzia.