Woody Allen e la Magia sono legati da indissolubile filo, nutrendosi l’uno dell’altra: il primo non sa resistere al fascino ed al mistero della seconda, così come quest’ultima rimarrebbe alla mercé di stregoni e buffoni da cabaret, se non fosse per la genialità e l’estro del regista newyorkese.
Incantesimi, illusioni e negromanzia, hanno sempre accompagnato il cammino dell’autore, risultando parte integrante di molte sue opere.
In alcuni casi, come ad esempio Scoop, lo stesso Allen, interprete principale al fianco della bella Scarlett Johansson, è un mago d’avanspettacolo, ed è grazie allo show di magia che ha inizio la trama del film, nel quale a sua volta compare un elemento chiave come quello dei tarocchi: ancora magia ed esoterismo quindi.
Negli anni ’80 invece, con Broadway Danny Rose, e meno di quindici anni fa con La maledizione dello scorpione di giada, Woody Allen si avvicina al mondo degli incantatori, con due film diversi tra loro ma nei quali l’aspetto magico è ancora una volta colonna portante dell’opera.
Per chi invece fosse appassionato di scienze occulte ed incantesimi, Woody Allen ha in serbo qualcos’altro: Zelig e La rosa purpurea del Cairo.
Non manca proprio nulla nel suo grande libro delle magie.
La vera ossessione del Maestro si tramuta in un gioco che coinvolge intimamente lo spettatore, grazie alle sue sceneggiature sempre intense e mai banali, e da vero incantatore utilizza la pellicola come un pendolino, attirando la nostra attenzione fino al punto di farci immergere in maniera totale nella storia.
Nella narrazione il flusso diventa un fluido, e noi restiamo vittime consapevoli della sua stregoneria cinematografica.
Immaginando di dover riempire questa magica pozione, ci versiamo dentro senza dubbio la musica, quella che apre quasi ogni singola pellicola della sua filmografia, creando immediatamente un’atmosfera fatata che accoglie lo spettatore e lo fa mettere comodo in uno degli affascinanti universi Alleniani.
Un altro buon ingrediente è rappresentato dai dialoghi sempre ficcanti e originali, motivo per il quale il nostro amato regista sceglie sempre con estrema oculatezza i suoi attori, che siano protagonisti o interpreti di secondo piano.
Cosa manca? L’ambientazione, ovviamente. Il luogo per Woody Allen è qualcosa di imprescindibile; tanto da venir prima della trama stessa, e ne è anzi il punto di partenza senza il quale non ci sarebbe neppure il film. Non è raro infatti che alcuni luoghi diano addirittura il nome alle sue opere, o quantomeno ne facciano parte: Manatthan, Midnight in Paris, To Rome with Love, Vicky Cristina Barcelona, ecc…Ma anche nei casi in cui non siano presenti a caratteri cubitali nel titolo, costituiscono qualcosa in più rispetto ad una mera ambientazione; basti pensare alla trilogia londinese ad esempio.
Trovare una diversa definizione per Allen e per i suoi film, in un modo che si discosti da tutto questo appare assai complesso. Egli è un regista che va vissuto di volta in volta, seduto su di una comoda poltrona di una sala cinematografica, assaporando con tranquillità la sua medicina filmica, capace di curare ogni male, almeno per un paio d’ore.
E’ tempo di Magic in the Moonlight: prepariamoci a gustare questa nuova incantevole miscela.