Netflix e la Storia, ovvero come trasformare il racconto di Yasuke in un’epopea fantasy
La vita di Yasuke è uno dei racconti più affascinanti tramandati nella storiografia del Sol Levante: lo schiavo divenuto il leggendario Samurai Nero, un soggetto che Netflix non poteva lasciarsi scappare.
Di per sé la storia di Yasuke non avrebbe bisogno di fronzoli. Il racconto di un uomo giunto in Giappone come schiavo che, grazie all’intercessione di Oda Nobunaga, divenne un samurai, è potente. Ancor più potente se pensiamo all’alone di mistero che circonda la sua figura dopo la fine di Nobunaga. Sappiamo che per un po’ di tempo servì ancora il clan Oda, salvo poi sparire dalla storia dopo la loro sconfitta. Da allora Yasuke entrò nella leggenda, nella letteratura, nella cultura popolare degli anime e dei manga.
Può apparire straniante, quindi, che una biografia così affascinante venga ulteriormente “infiorettata” da elementi fantasy, come fatto nell’anime realizzato da MAPPA per la compagnia di Reed Hastings. Questo Yasuke di Netflix si mostra come un racconto fantastico con elementi steampunk, dark fantasy e horror. Qualcosa che, obiettivamente, può lasciare gli amanti della cultura orientale e della storia basiti. Ma siamo di fronte a un brutto prodotto? No, affatto. Yasuke intrattiene per la maggior parte del suo racconto. E lo fa bene.
E proprio quegli elementi così stranianti finiscono per diventare, in qualche strana e contorta maniera, uno dei motivi di fascino dell’opera. Qualcosa che, pur con enormi libertà, mostra di saper incarnare alcuni concetti del Bushidō e della società giapponese. Primo tra tutti quello di dovere.
Dopo la vita di Yasuke: come Netflix racconta lo “spin-off” della Storia
Si potrebbe dire che l’intero anime di Netflix inizi quando finisce la storia di Yasuke. Del Samurai d’ebano sappiamo solo che scomparve dopo la fine di Oda Nobutada, primogenito di Nobunaga costretto al seppuku dal volgere degli eventi. Akechi riuscì a catturare Yasuke prima che potesse a sua volta darsi la morte tramite suicidio rituale e lo consegnò ai gesuiti, non ritenendolo degno di essere considerato un suo pari. Lo schiavo divenuto samurai era tornato a essere schiavo: una triste parabola, forse una delle peggiori nella storia.
Quale sia stato il destino del samurai nero dopo quel momento non ci è dato saperlo. E proprio in questo punto oscuro della storia si inserisce il racconto di Netflix. Alla vita di Yasuke divenuto rōnin, ormai privo del clan Oda da servire e destinato a una vita fatta solo di ricordi. Dopo aver trovato rifugio in un villaggio rurale nell’Honshū meridionale, il gigante africano trascorre le sue giornate a pescare, trasportare persone lungo il fiume, bere e, ogni tanto, contrastare gli “assalti” di un ragazzino desideroso di diventare samurai.
Questo stato di cose cambia quando una cantante lo contatta per trasportarla verso nord, nei territori della Daimyō, una misteriosa entità che permise al clan Akechi di sconfiggere gli Oda grazie alla sua magia. E proprio la magia sembra essere il filo conduttore destinato, ancora una volta, a riportare Yasuke sulla via del guerriero. La cantante vuole infatti portare la propria figlia da un medico, capace di aiutarla a gestire i misteriosi poteri di cui è in possesso. Il terzetto parte, ma viene intercettato da un gruppo di mercenari composto tra gli altri da un’orsa mannara, un mecha e uno sciamano. Prendetevi qualche secondo per realizzare la cosa.
Tutta un’altra storia
Quanto realizzato da Netflix non è quell’opera storica che qualcuno potrebbe immaginarsi pensando alla figura di Yasuke. Se stavate cercando un anime sullo stile di Lone Wolf & Cub farete meglio a cercare altrove. Siamo distanti dal ritratto disincantato, nostalgico e un po’ troppo idealizzato di Akira Kurosawa.
Se volessimo azzardare un paragone potremmo provare a farlo con Dororo, ma anche qui si tratta di due opere estremamente diverse. Tralasciando il fatto che l’opera di Osamu Tezuka offra uno spaccato molto critico verso l’epoca dei samurai, il contesto di quell’opera più che a elementi fantasy sembra rifarsi al folklore giapponese. Hyakkimaru, nella sua ricerca delle parti del corpo sottratte dagli oni, si confronta con mostri della mitologia del Sol Levante come gli yokai. L’intero anime, pur mantenendo la sua storicità, non sembrava dare un preciso contesto storico alla vicenda.
Yasuke ha invece un momento di inizio preciso, collocato nelle vicende storiche del Giappone: l’incidente di Honnō-ji, durante il quale Oda Nobunaga si diede la morte tramite seppuku. Eppure lo fa con i mecha, con stregonerie e incantesimi, armate di mostruosi samurai che certo non si rifanno alla realtà storica degli eserciti giapponesi. La storia riprende vent’anni dopo, quando Tokugawa Ieyasu sarebbe stato (di fatto) lo Shōgun. Niente di tutto questo sembra tuttavia avvenire nell’anime di Netflix: Yasuke si muove in un mondo dove non sembra esserci stato il minimo sentore della battaglia di Sekigahara e dove l’unificazione del Giappone pare essere solo una chimera irrealizzabile.
Insomma, la Storia appare come un modo per raccontare una storia: un pretesto. O, meglio ancora, una base. Il giusto modo di considerare l’anime di Yasuke è dimenticarsi del tutto gli eventi storici e considerare questi ultimi come una semplice base per un processo di mitopoiesi, destinato a creare un racconto fantasy giapponese, con qualche piccola traccia storica.
Strade diverse, stessa destinazione
Per comprendere a fondo il tipo di spettacolo offerto da Netflix all’interno di Yasuke è bene tentare un parallelismo che, a prima vista, può apparire azzardato. Quello con la prima stagione di American Gods di Starz. La serie mostrò, sin dai primi episodi, profonde differenze con il romanzo di Gaiman, pur restando ancorata alla poetica e alle tematiche dell’autore. Dobbiamo quindi chiederci: Yasuke riesce a darci uno spaccato del Periodo degli Stati Belligeranti e della cultura giapponese? In parte sì.
L’anime riesce a trasmettere alcuni concetti, come il senso del dovere che anima la società giapponese. Troppo spesso ci convinciamo che sia l’onore a guidare le azioni della casta dei samurai. Ma, al contrario, quest’ultimo non è che un aspetto della volontà di essere fedele ai propri obblighi. Yasuke riesce quindi in questo: a mostrarci personaggi animati da un forte senso del dovere. Non è però l’unico aspetto della cultura giapponese che viene impresso in Yasuke.
Al suo interno ci troviamo di fronte anche al rapporto con le tradizioni, apertamente sfidate da Nobunaga nella scelta di elevare uno schiavo al rango di samurai. Insomma, se il vostro interesse è un anime che sappia trasmettere sensazioni e atmosfere tipiche del Sol Levante, Netflix potrebbe avere in serbo una bella sorpresa per voi.
Alla fine… un fantasy
La difficoltà maggiore quando ci si trova di fronte a simili opere è quella di comprendere il genere di appartenenza. Yasuke è un fantasy. Diverso da qualsiasi altro possiate aver conosciuto, ma proprio per questo affascinante e degno di essere visto.
Yasuke è un’opera che usa il Giappone Feudale in maniera simile a ciò che fanno col Medioevo molti fantasy occidentali. Lo rielabora, lo passa al setaccio, sceglie ciò di cui ha bisogno per creare una trama avvincente. Rielaborare un’opera, una tradizione, un evento storico è parte di un processo sempre fattibile: l’importante è che nel mentre non venga perso qualcosa di importante e che quanto salvato sia corretto.
In un qualsiasi processo di mitopoiesi ci si trova di fronte a qualche perdita. Non tutto può essere salvato e utilizzato al meglio. E magari c’è chi, di fronte a quanto rimasto nel setaccio degli sceneggiatori, potrebbe storcere il naso. Ma alla fine il risultato resta appagante. L’importante è sapere perfettamente cosa aspettarsi.
In questo Yasuke, al pari di altri prodotti di genere fantastico simili, riesce nel suo intento: quello di essere un piacevole intrattenimento, anche se privo di quel contenuto storico che potrebbe essere richiesto da una parte del pubblico.