La stagione dell’amore
Nel gennaio 2017 arrivò finalmente anche in Italia Your Name, uno dei capolavori di Makoto Shinkai, già autore e regista di 5 centimetri al secondo.
Si tratta di uno strano caso di adattamento, se consideriamo che il romanzo da cui è stato tratto Your Name è scritto dallo stesso Shinkai, che ha quindi lavorato sul suo stesso prodotto, presentandolo in due diverse forme: il cartaceo e l’audiovisivo. Il libro è edito nel nostro paese da J-Pop, che ha aspettato il lancio mediatico dell’evento al cinema per pubblicarlo. Ma se pure dubitaste del valore di Makoto Shinkai nella letteratura, dopo la visione della sua ultima fatica possiamo garantirvi che resta una stella brillante nel mondo dell’animazione. Non è quindi una sorpresa che Your Name sia il quarto film che più ha incassato in Giappone (dietro al sensei Miyazaki e alla sua città incantata, ma anche ai gaijin Frozen e Titanic), nonché l’anime che ha incassato di più a livello mondiale (stavolta sorpassando anche lo Studio Ghibli), con 330 milioni di dollari nel momento in cui stiamo scrivendo.
E dire che, volendo essere gentili, il punto di partenza di Your Name è quanto di più banale si possa trovare rovistando negli archetipi di anime e manga: il filo rosso del destino e lo scambio di corpi sono temi usati e abusati, per quanto questo film sia la dimostrazione che non ci stanchiamo mai delle vecchie storie, soprattutto se raccontate con garbo ed emozione. Il filo rosso del destino è la trasposizione del concetto occidentale di anime gemelle, quello che Stefano Benni metaforizza dicendo: “se è scritto che due pesci nel mare debbano incontrarsi, non servirà al mare essere cento volte più grande“. Il filo può allungarsi o accorciarsi, attorcigliarsi con quello di altre persone, ma non potrà mai essere reciso. Il filo rosso del destino è anche un’ancora di salvataggio, la corda di sicurezza che ti tiene sospeso in aria quando cadi dal precipizio. Questo sono Mitsuha e Taki l’una per l’altro: una risorsa inaspettata, una persona su cui contare sempre, che ti conosce come se stessa.
E ti vengo a cercare
Mitsuha vive in un paesino sponde di un lago, Itomori, un luogo noioso senza neanche un vero cafè. Taki è un ragazzo di Tokio, con un lavoretto in un ristorante italiano e una cotta per la sua collega Miki. Lo scambio di corpi tra loro viene trattato nel film come un semplice escamotage, un fenomeno che esiste e su cui non c’è bisogno di interrogarsi molto. Dal momento che non sembrano farlo i protagonisti, anche lo spettatore riesce facilmente a mettere in pratica quell’atto di fede chiamato sospensione dell’incredulità, senza che la fantascienza o lo spiritismo si intromettano più di tanto nella narrazione. Siamo forse davanti alla rivisitazione orientale del realismo magico sudamericano, in cui elementi sovrannaturali si innestano su una vicenda mondana, costruita sulla vita quotidiana e sui piccoli eventi che accadono a chiunque nella vita. Chi di noi non ha provato durante l’adolescenza un senso di insoddisfazione per la propria vita, il desiderio di essere altrove, di essere qualcun altro?
Più che raccontare una storia che abbia appeal per l’attuale generazione di young adults, Makoto Shinkai raccoglie i sentimenti di una fascia d’età, così che questo film non parla soltanto a chi ha quindici anni adesso, ma a chiunque dai quindici anni ci sia passato. Questo è forse il segreto della riuscita di Your Name, il motivo per cui è così difficile uscire dalla sala con gli occhi asciutti: Shinkai tocca le corde di un’emotività anche un po’ sciocca che credevamo di esserci lasciati alle spalle crescendo e che invece era ancora nascosta da qualche parte, in attesa di uscire fuori.
No time, no space
Non è un caso che abbia parlato di corde: in alcune scene si vede Mitsuha in compagnia della sorellina e della nonna Hitoha, impegnate nella lavorazione al kumihimo, una tecnica di intreccio che richiama alla mente gli scooby-doo che usavamo come braccialetti e portachiavi negli anni ’90. “Le corde” dice la nonna, “rappresentano il flusso del tempo stesso. Si torcono, si aggrovigliano, si disfano e si connettono nuovamente. Questo è il tempo.” Non solo il destino, quindi, ma anche il tempo si materializza sotto forma di nastri, che danzano ripiegandosi su se stessi per formare disegni e schemi inaspettati.
Anche in questo caso l’autore-regista riesce a riprendere e sfruttare meccanismi già visti in film come La casa sul lago del tempo del 2006 (a sua volta remake di Si-wor-ae, film coreano del 2000), svecchiandoli e rendendoli appetibili tanto a un pubblico di giovani, che a uno più smaliziato, che coglie i riferimenti e le citazioni. Del resto l’intrattenimento giapponese non è nuovo a questo tipo di storia: la letteratura stessa se ne è appropriata con romanzi come Quando cadrà la pioggia tornerò di Takuji Ichikawa, a riprova del fatto che storie d’amore e viaggi nel tempo vanno spesso a braccetto. Non mancano neanche i riferimenti alla sfera celeste, che permettono a Shinkai di dipingere meravigliose scene di un cielo stellato solcato dalla cometa Tiaman, o meravigliose e strappalacrime scene al tramonto, quel kataware doki in cui realtà e sogno si fondono.
Parole musicali
L’ultimo punto di forza di Your Name è la colonna sonora, che per esplicita richiesta del regista prevede dei momenti in cui la musica si sostituisce ai dialoghi dei personaggi, così che la storia prosegua su due binari: quello musicale e quello visivo, che si intrecciano alla perfezione. Le canzoni in questione sono composte e interpretate dal gruppo J-Rock Radwimps, al loro debutto nel mondo delle OST.
Gli interventi musicali regalano respiro alla storia, riallacciandosi per sonorità e montaggio delle immagini alla tradizione seriale degli anime, di modo che Your Name risulti un film lungo d’animazione che si lascia vedere con la stessa famelica voglia di scoprire cosa succederà di una sessione di binge-watching a episodi.