L’antica arte teatrale giapponese, Noh, ha davvero influenzato l’opera Nintendo?
Esordisco sulle pagine di Stay Nerd per parlare del teatro Noh, il cui kanji è 能 e tra i vari significati figurano ‘abilità’, ‘talento’ e deriva (come buona parte dei kanji giapponesi) dall’hanzi cinese, il cui termine letterale è appunto ‘capacità’ (ma anche ‘abilità’), funzione che assume pure nella terminologia giapponese. Può significare anche energia (perlopiù fisica), sebbene il pittogramma nella cultura cinese raffiguri un forte orso in piedi con in bocca della carne. Essendo l’orso forte e abile (probabilmente pensato con possente energia fisica) potrebbe indicare che la rappresentazione di capacità/talento derivi proprio dal fatto che l’orso sia stato abile nel prendersi la carne, uscendone vincitore, e da qui l’etimologia (o almeno, così mi piace interpretarlo – NdR). Si pronuncia néng/pinyin e col tempo il pittogramma si è evoluto sino a diventare il kanji (hanzi in cinese) riportato poc’anzi (能). L’etimologia è la stessa anche in giapponese. Fatta questa premessa, andiamo a vedere la correlazione tra teatro Noh e The Legend of Zelda: Majora’s Mask.
Ne approfitto inoltre per rimandarvi ad altri argomenti interessanti, uno riguardante il rapporto tra teatro e videogioco che potete recuperare a quest’indirizzo e quest’altro dedicato alla storia e l’evoluzione della maschera nel cinema.
Teatro Noh: le origini
Facciamo chiarezza: ho voluto introdurre l’argomento poiché, quasi sicuramente, è la forma di ispirazione primaria per la realizzazione di The Legend of Zelda: Majora’s Mask (ムジュラの仮面 – Mujura no Kamen – ‘kamen’ da solo indica ‘mascherare’, ma letto con ‘Mujura no’ diventa ‘Maschera di Majora’). L’articolo nasce quindi da supposizioni, prendendo comunque in esame la cultura di riferimento e l’arte del teatro giapponese. Il Noh è una forma teatrale antica (pare sia una delle più antiche del Giappone) le cui origini risalgono al XIV secolo, evolvendosi insieme alla farsa kyougen (狂言), prendendo poi direzioni diametralmente opposte, e col tempo ha influenzato anche altre forme d’arte teatrali come il butou/butoh (舞踏) o il più volgare kabuki (歌舞伎).
Una delle peculiarità più interessanti e al contempo affascinanti è che gli spettacoli del teatro Noh sono costruiti e rappresentati per far sì che lo spettatore (e di conseguenza fruitore) tragga la sua personale interpretazione di ciò che viene messo in scena. Gli interpreti che danno vita alle vicende indossano delle maschere dette Omote (表 – che letteralmente significa ‘mostrare’, ma anche tante altre cose). La prassi è: andare nel camerino, eseguire una sorta di riverenza prima di indossare la maschera (che rappresenta di solito una divinità) ed una volta indossata, l’interprete si guarda allo specchio, conscio di essere posseduto dalla personalità della maschera. Se infatti nella cultura occidentale siamo più noi ad assumere il ruolo della maschera che indossiamo, nella culturale giapponese è l’attore stesso ad essere posseduto dalla personalità di quest’ultima, a mo’ di divinità che “assume il controllo”.
Il protagonista dei drammi teatrali del Noh è lo shite (仕手 – che indica testualmente ‘esecutore’), il quale indossa sempre una maschera, a differenza del comprimario (o deuteragonista), detto waki (‘ospite’ o ‘spettatore’), che si mostra senza copricapo alcuno. Ci sono anche altre categorie di attori, ma non le andremo ad esaminare tutte poiché ci serviranno solamente quelle menzionate ai fini dell’analisi in questione.
Le influenze in Majora’s Mask
Veniamo ora all’associazione con Majora’s Mask. Per chi non lo sapesse, in questo capitolo di Zelda, uno degli elementi più particolari riguarda la possibilità di indossare delle maschere, meccanica già presente nel prequel (quel capolavoro di Ocarina of Time). Qui il tutto è decisamente più accentuato: le maschere hanno un ruolo di gran lunga più importante e fondamentale nelle vicende del gioco, tant’è che quattro (più una) trasformano Link nelle fattezze delle maschere che indossa (Deku, Goron, Zora e Oni Link, mentre la quinta è Giant Link). Link incarna proprio le personalità decedute e quindi gli spiriti di coloro che gliele hanno donate, a seguito di eventi che non staremo qui ad illustrare. La trasformazione rappresenta visivamente un processo quasi di sofferenza, che dimostra proprio come sia la personalità della maschera a prendere possesso dell’eroe (il quale mantiene comunque alcuni suoi tratti caratteristici) e non il contrario, proprio come nel teatro Noh.
Tra l’altro (interpretazione personale) il nome di Link, mai come in questo caso, rappresenta in maniera ottima quanto descritto, poiché fa da tramite/collegamento con gli spiriti dei deceduti di cui prende le fattezze/viene impossessato (Link, dopotutto, è ‘collegamento’). Non è solo una rappresentazione estetica in quanto egli avrà le abilità delle personalità delle maschere indossate; e questo vale per tutte quelle di trasformazione.
A rafforzare questa teoria vi è anche la melodia, ‘Elegy of Emptiness’, da suonare in momenti specifici del nostro viaggio. Attraverso essa è possibile dare forma a dei gusci vuoti utili per sezioni puzzle del gioco. Questi gusci non avranno però le fattezze di Link nella forma che ha assunto in quel momento, bensì degli spiriti stessi delle maschere, a forte sostegno che l’eroe non assume un ruolo, al contrario si spersonalizza, permettendo allo spirito di sovrapporsi a lui, proprio come nella cultura giapponese e del teatro Noh. In Majora’s Mask ci sono anche altre maschere; esse non trasformano Link dal punto di vista fisico/estetico, gli danno però modo di non essere riconosciuto come egli medesimo, piuttosto come colui che raffigura la maschera.
Per fare un semplice esempio, il nostro protagonista può parlare con delle particolari rane (presenti pure in Ocarina of Time, così come quasi tutti i personaggi di Majora’s Mask, trovandoci noi in una dimensione parallela che è Termina) attraverso la maschera di Don Gero. Gli animali riconosceranno in lui il proprio mentore e lo aiuteranno per una subquest specifica. Ed è così per buona parte dell’avventura, tant’è vero che vi è una maschera che permette di dialogare con le mummie e di far ballare i ReDead, ma in generale quasi ogni copricapo presenta una linea di dialogo differente per ciascun personaggio.
A tal proposito, vi sono anche altri piccoli dettagli che rimandano al teatro Noh: ricordiamo infatti che lo shite è l’attore primario e protagonista, indossa maschere proprio come fa Link nel corso dell’avventura. Il waki invece assume la funzione di pubblico e spettatore, mostrandosi a volto scoperto, proprio come buona parte dei personaggi del gioco con cui avremo modo di approcciarci. Quest’ultimo entra per primo in scena e dopo alcune “formalità” invita lo shite ad eseguire una danza, proprio come accade in Majora’s Mask con lo spirito di Kamaro, il quale ci donerà poi anche la sua maschera per fini ludici (ci permetterà di eseguire la sua danza). Potrebbe essere solo una coincidenza, eppure nel titolo Nintendo vi è persino questo personaggio che ci invita a danzare, sebbene nell’avventura lo faccia per permettere noi di divulgare il suo ballo.
Non solo teatro ma anche filosofia
Majora’s Mask assume pure alcuni tratti filosofici: come nella vita reale, indossiamo tutti i giorni maschere diverse (seppur metaforicamente) per superare gli “ostacoli” della vita. C’è anche un altro fattore filosofico in quest’opera che riguarda un po’ l’Eterno Ritorno o il Rinne (輪廻) giapponese, seppur in una chiave di lettura diversa che non appartiene al processo della vita/morte e del ritorno ed è rappresentato con il mezzo dei viaggi nel tempo di Link, il quale ritorna sempre al primo giorno dei tre suonando la melodia ‘Song of Time’, potendo cambiare ogni volta gli esisti vissuti, ma impossibilitato dal poter risolvere tutti i problemi in una sola volta, poiché il grattacapo di uno potrebbe essere il favore di un altro; si presenta dunque tutto come un eterno bivio e anche tornando indietro nel tempo, alla biforcazione comunque nessuno potrà mai percorrere contemporaneamente i due percorsi.
Digressione a parte sulla ramificazione filosofica di Majora’s Mask sul controllo del tempo, non è da escludere che Nintendo abbia preso spunto dall’immaginario e dalle tradizioni della forma d’arte teatrale Noh. Essendo il videogioco un sistema interattivo, noi possiamo vivercela sia in maniera attiva, attraverso il collegamento di Link e quindi lasciarci trasportare/impossessare da tutto quello di cui prendiamo il controllo ed essere a conti fatti lo shite, sia, dalla parte del fruitore/pubblico, dare la nostra interpretazione, proprio come se fossimo gli spettatori di uno spettacolo del teatro Noh.
L’argomento è molto complesso ed intricato e può rivelarsi uno spunto di discussione interessante per analizzare l’opera di Nintendo da un’altra prospettiva, carpirne tutte le fonti di ispirazione e darle più interpretazioni. Majora’s Mask, in fondo, è anche questo.